Il riallineamento della Germania nei nuovi equilibri della guerra civile europea in corso in Ucraina
Tutto iniziò col cane della vicina, trovato ammazzato in giardino. Per Chris Boom, ragazzino mezzo autistico, fu l’inizio d’una vita nuova. Come per Mark Haddon, autore dello Strano caso del cane ucciso a mezzanotte, che ha fruttato al suo autore fama e soldi. Tutto è iniziato con una dichiarazione rilasciata alla Novosti da un capocarro russo sul fronte di Zaporizhia, a fine autunno. Dopo aver fatto saltare un Leopard 2 – il meglio della tecnologia bellica tedesca, secondo i media occidentali – l’ufficiale s’è ritrovato nella carcassa fumante, tra i cadaveri dei carristi uccisi, un sopravvissuto. Il poveraccio gridava in tedesco di non sparare e, prima di spirare, avrebbe rivelato di non essere un mercenario, ma un soldato della Bundeswehr – l’esercito regolare tedesco – inquadrato tra i reparti combattenti, come i circa ventimila volontari delle brigate internazionali arruolati da Kiev. Per inciso: il modulo d’arruolamento è sempre lì, sul sito del ministero della Difesa ucraino, basta essere maggiorenni, non aver superato i sessant’anni, in salute e, meglio, con una qualche esperienza bellica. La notizia dell’agenzia di stampa russa è stata ripresa col contagocce, a Berlino hanno fatto spallucce. Già ai primi di settembre Christian Freuding, generale a capo delle forze corazzate tedesche incaricato del coordinamento degli aiuti all’Ucraina, aveva dichiarato che la Germania avrebbe sostenuto l’alleato nello sforzo bellico in ogni modo possibile, per almeno un decennio. Parole profetiche.
Ora, non è una novità che mercenari e “tecnici” della Nato partecipino dall’inizio dell’“operazione speciale” ai combattimenti sul fronte, malcelati o meno dietro lo scudetto delle brigate internazionali pro libertà che hanno riesumato il tridente dell’arcinazista ucraino Bandera. Inglesi e polacchi, in primis, sono da tempo in prima linea. E, dietro a questi, agenti infiltrati dalla “resistenza” ucraina, ben stipendiati dall’Occidente. Buon ultimo, l’italorusso colto a far deragliare treni. Ma che ai contingenti noti s’aggiungano combattenti regolari tedeschi è una notizia d’un certo peso. Talmente grossa che neanche i grandi media l’hanno taciuta, seppur minimizzandola o buttandola lì, da Rai news al Sole, da Ad al Fatto. Certo è che fa effetto rivedere i carri con la croce di guerra della Wermacht – neppure un ritocchino al logo – impantanarsi negli stessi crocicchi dove bruciarono ottant’anni fa sotto i colpi degli artiglieri sovietici, in una terra che al tempo era Russia.
Come il tornare dei nomi – i nomi, ammonivano Saramago e Vassalli all’unisono – appena storpiati rispetto ad allora. A partire da Charkov, ribattezzata Charkiv, dove si giocarono le sorti effettive della guerra mondiale, come e più che a Stalingrado. È a Charkov-Charkiv, infatti, che le lancette della storia cambiarono passo, con le panzerdivision tolte dal fronte orientale per essere spedite a turare la falla aperta nel ventre molle dell’Asse dopo la defezione dell’Italia. Fu lì, nella steppa ucraina dove si combatte da quasi due anni senza costrutto che la Germania passò la mano e vide squagliarsi il meglio delle sue truppe corazzate, troppo indebolite per resistere all’ennesima spallata delle divisioni di Stalin. Ed è qui che la Germania gioca le prime carte nella nuova partita mondiale. In una guerra che segna l’abbrivio del XXI secolo come e più dell’11 settembre “made in Usa” di vent’anni fa.
Il riallineamento della Germania è, indubbiamente, il maggior successo ottenuto dalla macchina bellica occidentale e dall’amministrazione Biden in particolare nella guerra europea in corso. La questione non è tanto del buon Olaf Scholz che dalle strette di mano a Putin è passato agli abbracci a Zelensky, né tantomeno dei “vecchi” Leo 2 rifilati all’Ucraina per essere usati a spizzichi e bocconi nella fallita controffensiva estiva, liberando i magazzini della Nato dai carcassoni, con gioja degli armivendoli e buonapace dei pacifisti da telecomando. Neppure l’attentato – all’Europa in generale e alla Germania in primis – ai quattro oleodotti del Nordstream 2, con la manina ucraina e la manona inglese ormai provate dalle varie inchieste, ha frenato l’ardore tedesco a sostegno dell’impegno bellico dell’Ucraina che ha raggiunto la bella cifra, seconda solo agli Usa, di 8 miliardi d’euro l’anno. Ma ne sono attesi 50 da qui al 2027, a riprova di quanto siano solidali con Kiev Berlino e le cancellerie europee. L’Italia, col suo miliarduccio di donativi, fa più magra figura. La Germania postnazista è oggi, lungi dall’essere il primo partner strategico, politico ed economico della Russia postsovietica, com’era nelle intenzioni d’ambo le parti alla vigilia della guerra, capintesta della coalizione Nato e punta di diamante dell’espansione nordatlantica che vede quali partner di prima linea paesi storicamente non allineati quali la Svezia e la Finlandia. Un bel flop per Putin e i suoi generali che hanno sbagliato tutto quanto potevano nella politica di contenimento armato all’espansionismo atlantico e nella gestione del pantano ucraino.
La ricerca dello spazio vitale a Est, la vecchia fisima hitleriana del Lebensraum già dei Cavalieri Teutonici, assume nuova veste nella guerra civile europea in corso. Lo scontro Est-Ovest si rinnova non più in termini di confronto ideologico tra comunismo e capitalismo ma sulla falsariga dei vecchi conflitti di potenza ottocenteschi tra potenze occidentali e Russia zarista, nel quadro della fine del predominio euroatlantico a guida Usa e l’avvento della nuova era multipolare sotto l’egida della Cina. L’Europa è compattamente dietro agli Usa ma il resto del mondo guarda altrove. Là dove il dragone cinese vola sui nuovi equilibri multipolari, sulla fine dell’egemonia statunitense che sarà segnata da un’esponenziale crescita dei conflitti, prima della sua fine preventivata a metà del secolo in corso.
Se l’Europa continuerà a seguire ciecamente chi l’affossa in una guerra folle, contraria ai suoi interessi economici, culturali e politici e la trascinerà nella sua caduta, dopo averla salvata (sic) dal tallone di ferro nazista e dall’orda bolscevica, è questione che toccherà gli storici di domani, più che i gazzettieri d’oggi. A questi tocca solo raccontare lo strano caso del carrista ucciso a mezzogiorno.
In alto: Il cancelliere Scholz presenzia alla cerimonia di consegna di un Leopard 2
Sopra: Leopard 2 distrutti nella controffensiva (2023) e Panzer IV distrutti presso Kharkov (1943)
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