Il microchip di Musk e la profezia di Packard, come finirà l’avvento del biocontrollo
Forse passerà alla storia come la quadratura del cerchio, alias della scienza coi miracoli, gridano gli entusiasti. Una sorta di telepatia capace di ridare la vista ai ciechi, raddrizzare gli storpi. Un gran passo avanti verso la (dis)umanità, dicono i soliti apocalittici, o un normale processo evolutivo della microelettronica, asseriscono i tiepidi. Fatto è che il primo impianto di microchip nel cervello umano da parte di Neuralink, la società di Elon Musk di punta del settore delle neuroscienze, non è passato inosservato. Nulla si sa del derelitto che ha fatto da cavia. Il passaparola mediatico dice tutto ok, che vuol dire nulla. Forse è solo una boutade pubblicitaria per la società del magnate, ovviamente twittata via X, che ha appena spostato la sede amministrativa dal Delaware al Nevada, per non dar corda al fisco federale, mantenendo la sede operativa in California. Mitica terra delle tre esse: sole, surf e sogni. E cervelli microchippati, dall’altroieri.
Di certo si sa che il sistema – non nuovo, sono anni che i bioingegneri, tra cui quelli della startup italiana Cortale, si danno da fare al riguardo – oltre al chip impiantato, delle dimensioni d’una monetina da 5 centesimi, ricaricabile da un’unità esterna di elaborazione dati, con modalità e tempi d’un comune cellulare, ha un terzo elemento davvero innovativo. Un robottino – ma già alla Cortale dicono che il loro è meglio – capace d’impiantare nel cervello 1.024 filamenti dallo spessore minore d’un capello, con elettrodi atti a generare impulsi elettronici capaci di ridare vitalità e funzioni biologiche a vari arti, non più attivi a seguito di traumi o malattie degenerative come l’alzheimer o il parkinson. Il prezzo di mercato di tale mirabilia è ancora un tantino elevato, pari a una macchina di grossa cilindrata, ma il munifico Musk conta di ridurlo presto a un livello davvero popolare. In attesa del miracolo a portata di tutte le tasche, la vera novità dell’impianto è però la bidirezionalità.
Il sistema funziona infatti a doppio ingresso, come una porta usb. Oltre che supporto rivitalizzante in uscita, in entrata capacità cognitive, soglia dell’attenzione, memoria e chi più ne ha più n’inzeppi. Già qui siamo ai confini dell’etica, da tutelare e certificare, prima che il chip si prenda la mano con tutto il cervello, per meglio penetrare gl’immensi spazi della realtà aumentata. Ma c’è di più. Assai più del corpo in gioco. I cervelloni dell’ingegneria sociale pregustano il modo d’indurre nei cervellini iperconnessi non solo il superamento di limitazioni bloccanti, ma ogni sorta d’emozione o sensazione, stimolo o condizionamento. Una panacea per persuasori seriali e dispensatori del pensiero unico, già possibile in teoria e nei fatti, ma attuata in maniera ancora troppo artigianale.
Tornano in mente le parole di Vance Packard, che ai primordi della società dei consumi nordamericana profetizzava, nei Persuasori occulti: «A lunga scadenza, diciamo nel Duemila, ogni manipolazione psicologica sembrerà molto ingenua e un po’ ridicola. I biofisici avranno probabilmente assunto il comando delle operazioni con il “biocontrollo”, ossia la persuasione del profondo portata alle sue conseguenze estreme». Al congresso nazionale di elettronica di Chicago, davanti a un’attenta platea l’ingegner Curtiss Schafer già nel 1956 riassumeva la cosa in questi termini: «Il limite ultimo del biocontrollo potrebbe essere il controllo dell’uomo stesso… Ai soggetti controllati non si permetterebbe mai di pensare individualmente. Pochi mesi dopo la nascita, un chirurgo sistemerebbe sotto la cute del bambino degli elettrodi collegati a determinate regioni del cervello… Le percezioni sensoriali e l’attività muscolare del bambino potrebbero essere modificate o completamente controllate da segnali bioelettrici irradiati da un trasmettitore azionato dalle autorità statali».
Altro che scenari orwelliani, pare di leggere l’intro del sito della Neuralink: “L’interfaccia cervello-computer ha il potenziale per cambiare la vita in meglio. Vogliamo portare questa tecnologia dal laboratorio nelle case delle persone”. Senza manco la consolazione d’una suprema autorità statale a metterci il chip, come ai tempi del profetico Vance, ma solo un’entità aziendale globale a modellare le future anime in scatola.
Sopra: Vance Packard e, a destra, Elon Musk
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