Marino ci (ri)pensa. Dal Campidoglio arringa i suoi, il Pd verso la conta
Non vi deluderò. Quando, poco dopo l’una, il quasi ex sindaco Marino ha scandito tre volte il nuovo verbo ai suoi in Campidoglio, dalla balconata dove Alemanno tendeva il destro al cielo, la frase deve aver fatto andare di traverso il pranzo a molti, fuori da quella piazza gremita come nelle grandi occasioni (non che ci voglia molto a riempirla, in verità). Tra i ploranti il sindaco di non mollare, pure un anziano giunto da Ostia vestito da marziano, omaggio al marziano Marino avulso dalla politica che declama l’undicesimo comandamento.
Il bagno di folla rigeneratore, con tanto di serpentone di oltre 50mila firme a chiedergli di restare, sembra spingere Marino allo scontro finale col Pd renziano. Quantomeno a non sparire “in der nacht und im nebel”, nella notte e nella nebbia, come recitavano i proclami delle ss verso i resistenti, ma a combattere fino all’ultimo consigliere. Arrivare alla conta in comune come fatal passo prima di cedere: questa la tattica capitolina del lascia o raddoppia mariniano. Forte del fatto che l’abatino Orfini non sia riuscito finora a portare tutto il Pd romano dalla sua. Una buona metà dei 19 consiglieri pieddini infatti traccheggia, nicchia, resiste. Insomma pare disposta a dare a Marino un’altra chance, come pure i quattro vendoliani e, ovviamente, gli altrettanti fedelissimi della lista civica.
Così il quasi neo sindaco avrebbe dalla sua una risicatissima maggioranza consiliare nel vuoto politico che si è fatto attorno, non domina il palazzo ma si fa forte della piazza, mentre la città non sa se la sua sia davvero un’esperienza accantonata, parafrasando il renziano Esposito, e resta a guardare anche se non sa a chi per vedere oltre, col Giubileo alle porte e gli intrecci di mafia capitale ben dentro le mura. Al di là dei proclami che dovranno trovare sfogo da qui a una settimana, resta l’idea che più che al rush finale, il braccio di ferro serva a Marino ad alzare il prezzo per non ritrovarsi solo e senza un lavoro, dopo aver disceso lo scalone capitolino una volta per sempre.
Per lui un ruolo di bel nome e poca sostanza il Pd capitolino dovrà pur trovarlo – presidente dei pellegrini scalzi, magari – se non vuole rischiare la conta tra gli infidi spezzoni d’un partito che i mozzaorecchi del premier non dominano affatto o, peggio, affidarsi ai voti degli odiati pentastelluti o della destra per cacciarlo dal palazzo. E mentre pure tra Meloni e Alemanno volano stracci, rievocando i bei tempi di quando dallo scalone tutti si salutavano romanamente, gli altri stanno a guardare. Marchini no, lui gira in bici e pettorina gialla per il basta buche tour. E tanto basti.
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