La pugnalata di Erdogan alla schiena di Putin ricorda, un po’ alla lunga, l’altra sferrata da Bruto al padre putativo che voleva farsi imperatore di Roma. Seconda per doppiezza a quella della Buonanima che pugnalò alle spalle la Francia per non arrivare tardi al banchetto della vittoria. Salti e ricorsi della storia a parte, tutto può dirsi dell’abbattimento del jet russo sui cieli siriani fuorché non fosse in qualche modo atteso. La cronaca d’un crimine annunciato, e preannunciato dall’abbattimento di un drone, ai primi di ottobre. Anche se l’averlo visto dal vivo fa il suo effetto e solleva un coro di peana per il cozzo che dai tempi dei cieli di Corea non vedeva un aereo russo venir giù colpito da un membro – ahinoi – dell’Alleanza Atlantica. Ma prima di parlare dei retroscena e degli scenari che si aprono a livello globale, è bene sgombrare il campo da qualche bufalicchia prontamente ripresa dai media che, al solito, non può mancare in questa nuova tappa della guerra infinita.
Nella lettera inviata da Ankara al Consiglio di sicurezza Onu e al segretario generale Ban Ki Moon si legge che “due aerei Su-24 hanno avvicinato lo spazio aereo nazionale della Turchia. I velivoli sono stati avvertiti 10 volte nell’arco di 5 minuti attraverso il canale Emergency ed è stato richiesto loro di cambiare direzione verso sud. Ignorando questi avvertimenti entrambi gli aerei hanno violato lo spazio aereo nazionale turco per 17 secondi a partire dalle 09:24:05, ora locale. In seguito alla violazione, l’aereo numero 1 ha lasciato lo spazio aereo turco. Al secondo è stato sparato un missile da caccia F-16 in azione di pattugliamento. L’aereo 2 è quindi precipitato sul lato siriano del confine fra Turchia e Siria”.
Sempre secondo Ankara, i due piloti sarebbero caduti nelle mani dei ribelli che combattono nella regione. Non terroristi dell’Isis, dionescampi, ma turcomanni schierati contro i curdi. “Nostri fratelli”, ha precisato il premier turco, da difendere contro i raid russi costi quel che costi. Intanto Alpaslan Celik, a capo delle forze turkmene anti-Assad nell’area, dichiarava di aver fatto sparare ai due gettati col paracadute, mentre un gruppo dei suoi, la Decima brigata dell’esercito siriano libero, inviava alla Reuters un video con il corpo di uno dei piloti uccisi, circondato dai miliziani urlanti l’immancabile invocazione ad Allah. Un tempismo secondo solo alla tv turca Haber turk, in grado di cogliere (di qua, di là dal confine?) e mostrare il velivolo incendiarsi in volo e schiantare al suolo.
A prescindere dalla palese incongruenza dei 10 avvertimenti nell’arco di 5 minuti per una violazione del cielo patrio durata 17 secondi, i due aerei russi volavano a una quota di sicurezza dai missili terra-aria riforniti da Ankara ai suoi “fratelli”. Circa 6mila metri. Cionostante, è assai dubbio che a buttare giù il cacciabombardiere sia stato un caccia turco, di cui non s’è vista traccia, quanto piuttosto un missile sparato da terra in quella che, a tutti gli effetti, è un’imboscata militarmente e mediaticamente preparata. Anche un elicottero della squadra di soccorso inviata tra i colli di Yamadi è stato colpito. Il copilota è rimasto ucciso, mentre i 9 membri dell’equipaggio si sono salvati e, con il pilota recuperato che smentisce ogni sconfinamento, sono in una base presso il confine siriano. A dirlo è il ministero della Difesa russo. Dettagli nell’immancabile video prontamente diffuso dai ribelli. http://video.repubblica.it/mondo/jet-russo-i-ribelli-siriani–missile-su-elicottero-di-soccorso/219670/218871?ref=HREC1-2
Gli aerei, parte dei 12 Sukhoi 24 di stanza a Latakia, erano in missione di bombardamento a sostegno dei governativi contro i ribelli anti Assad che combattono i curdi fianco a fianco con il contingente dell’Is nell’area, armato dai sauditi e benedetto dagli Usa. Che, più che bombardare i seguaci del califfo, sono impegnati da giorni in un ponte aereo per sottrarre i “suoi” terroristi dalla sacca di Aleppo, dove in queste ore sono entrati in azione per la prima volta una ventina di tank russi, a supporto delle truppe siriane. Non si ha conferma di truppe cinesi impegnate a terra, che taluni danno “both on the ground”, mentre l’intelligence israeliana conferma la presenza di aerei iraniani nelle operazioni. E proprio il silenzio di Israele in questo scenario la dice lunga su quanto sia complesso il momento nel paese che vive l’intifada più letale. Quella dei coltelli, silenziosa come il convitato di pietra che nell’affaire siriano ha dato carta bianca ai turchi.
Erdogan dall’inizio dell’avventura in Siria ha un solo obiettivo: una no fly zone che gli consenta di spacciare in tutta tranquillità i curdi e annettersi di fatto il nord della regione. I bombardieri russi che tentano di sottrarre ai turcomanni il controllo dell’area e stanno rovesciando le sorti del conflitto in favore di Assad cozzano con questo piano, e l’abbattimento del jet con un’imboscata preparata è funzionale a dare un segnale ai russi – salvo dichiararli amici – forti di quel codicillo dell’Alleanza Atlantica che potrebbe portare la Nato a combattere contemporaneamente pro Erdogan contro Assad, contro Putin pro il sedicente terrorismo islamico e i suoi sodali che si dichiara di voler combattere “senza pietà”. Una volta tanto, Libero titola giusto: diamo soldi ai turchi e loro aiutano l’Isis. In questo sfondapiedi nessuno sembra voler cadere, al momento.
Non Putin che, come per il jet abbattuto sui cieli di Sharm el Sheikh, ingoia il rospo pur facendo la voce grossa e mandando il più letale incrociatore lanciamissili della sua squadra, il Moskva, a fronteggiare le coste turche e coprire i raid che presumibilmente aumenteranno ancora. Non Stoltenberg, il segretario della Nato che consiglia di abbassare i toni non sapendo bene che pesci pigliare, come Obama che spalleggia Erdogan ma invita alla calma, e per non sbagliare invia la portaerei Truman a dar manforte alla Charles de Gaulle che continua a bombardare per ogni dove, tranne che dove deve. Col risultato che nelle acque siriche galleggeranno a breve tre navi da battaglia con le relative squadre di sostegno – senza contare la fantasmatica presenza cinese – formalmente dalla stessa parte ma ognuna per combattere la sua guerra, l’una contro l’altre armata. Così, il day after in Siria somiglia molto al giorno prima della tempesta che si addensa sull’Europa.
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