Calabresi santo (non) subito Belpaese
Il concerto per Calabresi. Sopra: un francobollo commemorativo per il commissario

Il concerto per Calabresi. Sopra: un francobollo commemorativo per il commissario

Non sarà Santo subito, come canta Luca Bassanese, ma potrebbe esserlo presto. Per Luigi Calabresi è solo questione di tempo, poi la buonanima del commissario potrebbe battere sul filo di lana altri Servi di Dio – tale è, per la Chiesa, la sua posizione gerarchica nell’Aldilà – in odore di santità. La lista d’attesa è lunga, e vede personalità di spicco della Dc come Giorgio La Pira, Benigno Zaccagnini e Alcide De Gasperi. Per non parlare di Aldo Moro, il cui “supplice libello sulla fama di santità” è stato accolto dal tribunale della diocesi di Roma e la causa di beatificazione è in fase, diciamo così, istruttoria. Ma anche il presidente della Dc assassinato dalle Br potrebbe cedere il passo al commissario ucciso nel ’72, se la diocesi milanese dovesse affrettare la beatificazione postulata da don Ennio Innocenti.

A rinfocolare la causa e il martirio di fede di Calabresi, nel 45esimo anniversario dell’uccisione, il concertone di due ore alla Basilica romana di santa Maria degli Angeli, voluto dal postulatore alla presenza del questore di Roma Guido Marino, col tenore Vincenzo Sanso a interpretare il ruolo del commissario e il baritono Dario Ciotoli a vestire i panni di Pio XII, San Giovanni Paolo II e Virginio Rotondi. Il padre gesuita alla cui frequentazione giovanile Calabresi deve l’abbrivio della sua fama di “testimone del Vangelo ed eroico difensore del bene comune”, per dirla come papa Wojtyla.

L’iter per la causa di beatificazione – prodromica alla santità – del già servo di Dio è ormai decennale. Era il 2007 quando l’allora vicario di Roma, il cardinale Camillo Ruini, concesse il nulla osta per la raccolta di documenti e testimonianze a don Ennio. Ma il cambio d’arcivescovo a Milano (l’istituzione del tribunale è di competenza dell’arcidiocesi ambrosiana perché Calabresi, pur romano, è stato ucciso nel capoluogo lombardo), da Tettamanzi a Scola, ne ha rallentato l’iter. Ora «i tempi sono maturi per parlare di una prossima apertura della causa di beatificazione», assicura don Ennio, che ebbe modo di conoscere e apprezzare le virtù cristiane del commissario ai tempi dell’Oasi di Rotondi. Al punto che prima di servire in polizia il padre del direttore di Repubblica avrebbe manifestato l’intenzione di farsi prete.

Calabresi sarebbe pertanto beato per la sua vita e non per la sua morte, anche se a lanciare l’idea che sia stato ucciso “in odium fidei”, in odio alla fede, e sia dunque un martire alla pari dei primi cristiani era stato, a metà degli anni ’90, un gruppo di cattolici integralisti. “Scemenze di intellettuali monarchico-fascisti”, bollò la tesi Adriano Sofri nell’occasione. Ma da allora i tempi sono mutati e Sofri stavolta tace, pur continuando a negare d’essere stato tra i mandanti dell’omicidio, come l’altro leader di Lotta Continua, Giorgio Pietrostefani, stando alle tardive e controverse dichiarazioni di Leonardo Marino, autoaccusatosi quale esecutore insieme a Ovidio Bompressi. Sofri, però, s’è dichiarato corrèo della campagna contro Calabresi, ritenuto ai tempi responsabile della morte dell’anarchico Giuseppe Pinelli. Caduto da una finestra della questura milanese a seguito d’un “malore attivo”, come recita la sentenza D’Ambrosio del ‘75.

Su come andarono i fatti quella notte del 15 dicembre ’69, verità giudiziali a parte, sul “suicidio di stato” di Pinelli, sui depistaggi e sui retroscena dell’interrogatorio durante il quale cadde da una finestra – e chissà se far volare gli anarchici può annoverarsi tra i miracoli d’un santo – e sul ruolo di Calabresi, non è inutile andarsi a rileggere La strage di stato di Eduardo Di Giovanni, Marco Ligini e Edgardo Pellegrini (riedito da Odradek nel 2006 e integralmente online su www.uonna.it/libro.htm). Un libro d’inchiesta che ha fatto epoca, avvicinandosi alla verità assai più di quanto abbiano fatto, ad esempio, le successive e manipolate controinchieste di marca brigatista. Ma ogni tempo ha le sue verità, ogni fede i suoi martiri. E in tempi di post verità tutto è possibile. Anche santificare l’illegalità di stato.


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