Erano quasi settant’anni che s’aspettava il momento. Da quando, nel ‘49 – Togliatti era convalescente dall’attentato e la diccì fresca di governo – la neonata Repubblica l’aveva acquistato per farne la Galleria nazionale d’arte antica, Palazzo Barberini non aveva mai aperto le porte dell’ala sud in questa veste. Per anni sede del circolo ufficiali e d’altro, il palazzo che segna i fasti d’una delle famiglie più potenti della romanità è stato restituito all’arte nella sua interezza. L’infilata di sale e saloni al piano nobile, affacciato sui giardini, dove dal ‘600 risiedevano i cardinali di famiglia, ha recuperato la sua vocazione grazie all’unità d’intenti tra Maxxi e Gallerie di palazzo Barberini e Corsini.
Eco e Narciso, questo il nome della mostra inaugurale, celebra nei nuovi spazi il ritratto e l’autoritratto con opere provenienti dalle reciproche collezioni. L’antico e il contemporaneo si specchiano, dunque, in un percorso che intende riannodare passato e presente. L’arte di sempre e quella d’oggi se ne vanno a braccetto con l’avallo delle due massime istituzioni del caso, la Galleria nazionale d’arte antica e il Museo d’arte del XXI secolo, nelle persone dei rispettivi curatori, Flaminia Gennari Santori e Bartolomeo Pietromarchi.
La ritrattistica non è certo argomento nuovo, piuttosto un sempreverde dove l’originalità sta nel valorizzare gli spazi, senza dare l’impressione di una sequela d’opere, e stanze, legata al caso più che a un criterio installativo. Eco e Narciso non è tanto questo, neppure la sintesi tra contemporaneità, impari al punto da risultare nella maggior parte dei casi impietosa. Nelle 14 sale di palazzo Barberini, più una – la sola collocata al Maxxi, dove ai veli della Vestale Tuccia di Corradini fanno eco le più svelate modelle della Beecroft – ove si snocciola la sequela d’opere a confronto, è l’oggi che perde senso e bellezza davanti all’antico.
Si resta perplessi davanti ai ritratti cortigiani di Bronzino e del giovane Holbein accoppiati alle tele in cui Serra ha rappresentato due scrittori a lui cari, Burton e Melville, che chiunque digiuno d’arte scambierebbe per meri scarabocchi. La perplessità cresce girando attorno alle Ore di Ontani nel salone di Pietro da Cortona dove prende il via l’esposizione, costeggiando il tavolone di Large dessert con le chincaglierie di Kiki Smith, fino ai ritratti di Mao e Giovanni Paolo II di Yan Pei Ming sovrastanti il busto berniniano d’Urbano VIII che la chiude. Accostare la Fornarina di Raffaello a Bent & fused della Bonvicini, l’Eco di Paolini al Narciso attribuito a Caravaggio può essere velleitario, persino crudele. Là dove il peso del passato è nullo, a paragone di opere vetuste ma in grado di parlarci ancora, la polvere del tempo sembra essersi posata di più. Come in certe stanze.
Ai segni del tempo non si sottraggono i mutamenti che l’arte registra e più spesso anticipa, coerentemente con la volontà dei curatori di non ridurre il ritratto a genere iconografico ma farne cartina di tornasole della visione identitaria e collettiva d’una società. Gli esibizionisti gay piuttosto agée tratti da Arienti dalla rete, coi loro genitali in bellavista, svelano meno del pacato fondoschiena femminile di Subleyras che scandalizzò i coèvi. Incapaci di raccontare altro se non la cronaca dei tempi, l’eco di tali opere è poca cosa rispetto al passato, un flebile lagno.
Forse solo gl’inserti di Schinwald – quel magnifico Ecce Homo dallo sguardo smarrito sotto l’unico albero di un orizzonte liquido – e i filamenti della Lai reggono il peso della modernità, sanno farsi storia. Vero è che quando cala la sera anche un nano proietta un’ombra da gigante. In questo senso, le opere in mostra raggiungono perfettamente il loro scopo. Mostrano pienamente la crisi in atto: un tempo di nani, all’epilogo come quello dei giganti che li hanno preceduti. Tutti allo sfratto da una contemporaneità che li espunge, come gli ufficiali dal loro vecchio circolo. Eco e Narciso, del resto, non hanno fatto una bella fine, né si vede in giro una Nemesi in grado di riscattarne le sorti. Fino al 28 ottobre, www.maxxi.art; www.barberinicorsini.org
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