Barbe finte, alla larga dal mare Belpaese

I punti oscuri, e quelli chiari, nell’affondamento del Bayesian (e del “Good… urian”)

Ai gatti, si sa, non piace l’acqua. Il pesce sì, ma nel loro elemento non si trovano a bell’agio. Un po’ come i servizi inglesi, israeliani, e, di riflesso, i nostri. L’acqua non è il loro elemento. Piglia il caso Bayesian, lo yacht da miliardari battente bandiera britannica inabissatosi nella rada di Porticello sere fa, il 19 agosto. Complice l’estate, nemicissima di media & giornalisti che non s’occupino di quisquilie e smutandate, la tragedia campeggia da giorni in prima e in testa a ogni servizio. Peccato che il succo della notizia sia mascherato da solenni minchionerie, per dirla come il compianto Camilleri, con la consueta faciloneria da gazzettieri e gli ohhh! del pubblico alla balconata. Facciamo il punto, per quanto si può da noi e in ristretto, per dirla come l’arcicompianto Manzoni.

Un panfilo a vela da oltre cinquanta metri s’inabissa nel porticciolo presso capo Zafferano, non distante da Palermo, in una manciata di minuti, come fosse una barchetta da quattro spicci. Il suo albero di 75 metri in alluminio, il secondo più alto al mondo, è troncato di netto da un indicibile tornado, si dice in un primo momento, evidentemente figlio del surriscaldamento globale. L’ancora si spezza, la nave va alla deriva e si rovescia, in un amen. Alla gran parte dei suoi occupanti – una dozzina di passeggeri e quasi altrettanti membri dell’equipaggio – è dato appena il tempo di scampare, tranne un pugno di sventurati tra i quali, per inciso, nessun marinaio di servizio eccetto il cuoco. A bordo non c’erano gitanti della domenica ma gente che conta. Tre, soprattutto, coi rispettivi famigli.

Il primo era Mike Lynch, sorta di Bill Gates inglese, a capo di una società, la Darktrace, all’apice della sicurezza informatica. Nata una decina d’anni fa per turare la falla di fughe di notizie riservate (wikileaks et similia), inzeppata di agenti dell’M15, quali l’ex direttore lord Evans of Weardale, e in stretto rapporto con una similare società israeliana, la Carbyne 911, con gente del calibro dell’ex premier Ehud Barak nel cda, e il Mossad. A fine luglio nell’azionariato della compagnia è entrato Blackrock, noto fondo d’investimenti planetario, strumento dei Rotschild che, assieme all’altro fondo Vanguard, controlla la finanza globale e, per dirne una, la Bce.

Altro pezzo forte della compagnia ripescato cadavere tra i flutti Jonathan Bloomer, presidente di Morgan Stanley, banca partecipata dall’accoppiata Blackrock-Vanguard. Terzo elemento di spicco deceduto nel naufragio Chris Morvillo, noto avvocato che aveva seguito Lync nella causa miliardaria per truffa conclusasi da pochi mesi. L’accusa era quella d’aver intascato qualche miliardo extra sulla vendita, sovrastimata, all’Hp di una società di software, Autonomy. Il gruppo, dicono i beninformati, era in gita sul panfilo proprio per festeggiare lo scampato pericolo. L’ex braccio destro di Lynch, Stephen Chamberlain, coimputato al processo, non era andato a festeggiare con gli altri ma due giorni prima del naufragio era stato messo sotto da un’Opel blu mentre faceva una corsetta a due passi da casa. Tipo sportivo e zazzeruto il nostro, non chiatto e pelato come Lynch, ma non è bastato a sottrarlo al comune destino della bella compagnia.

Ora, ammesso e non concesso che una cresta miliardaria, per gente avvezza a maneggiare bilioni come bruscolini, possa essere all’origine della prematura scomparsa, i punti oscuri sono altri. Ricapitoliamo: un panfilo iperlussuoso e ipertecnologico, ideato per navigare in tutta sicurezza tra marosi oceanici, viene sorpreso da una tempesta in rada e cola a picco in pochi minuti, nel cuore della notte. Nessuno sveglia i passeggeri che, si dice, avevano festeggiato e se la dormivano. Difficile dormire in mezzo a una tempesta, anche su uno yacht di lusso. Il fatto è che di tempeste stratosferiche non c’è traccia quella notte. Ogni dato o video al riguardo è stato cancellato, tranne uno che nulla spiega. I sopravvissuti al naufragio, 15 tra ospiti ed equipaggio, sono stati tratti in salvo da una barchetta nei pressi, assai meno resistente del panfilo affondato, che pure non ha riportato danni, come le altre in porto. Per sovrapprezzo, il capitano della nave, il neozelandese James Cutfield, avrebbe dato l’allarme a cose fatte e scampati in mare, dopo essersi messo in salvo. Schettino docet.

Torna alla mente l’altrettanto oscuro affondamento del “Good… uria” nel Lago Maggiore, nel maggio dello scorso anno. Sull’imbarcazione, assai meno impegnativa, inzeppata d’agenti dei servizi italiani, israeliani e inglesi, muoiono in quattro: due italiani “in delicata missione congiunta” coi servizi esteri, come confermato a fine marzo dal Dis, un agente israeliano e la moglie russa dello skipper. Al termine dell’inchiesta preliminare, pochi mesi fa, oltre a dire che a bordo erano in troppi, è stato messo tutto a tacere. Anche lì, un incredibile tornado lacustre fa rovesciare l’imbarcazione. Molte le piste suggerite nell’occasione: il pool di barbe finte preparava un’operazione combinata contro la Russia, l’Iran o la Serbia, a piacere. Resta l’unica certezza: dalla Lombardia alla Sicilia, le acque italiane sono teatro di operazioni segrete dove i servizi esteri sono di casa, come si conviene a un paese a sovranità limitata. Quante alle cause, e agli autori, degli affondamenti, impazzano varie ipotesi, escludendo ovviamente l’accidentalità dell’incidente.

Si è parlato dell’uso di armi a energia diretta: laser, per intenderci. Però tali armamenti, che l’esercito inglese introdurrà stabilmente dal prossimo anno tra le sue dotazioni, non funzionano bene in caso di maltempo, provocato o meno che sia. Quanto all’ipotesi di armi metereologiche, un ciclone comandato o un mini maremoto, provocato da bombe di profondità, è dalla Seconda guerra mondiale che i nordamericani ci lavorano, e applicano con successo dalla guerra in Vietnam. Che le barbe finte angloamericane s’azzannino tra loro, o a danno degli israeliani, è però implausibile. Che a farlo siano russi e iraniani sarebbe più logico, ma che ne padroneggino la tecnica è altrettanto improbabile. Terza ipotesi, questa made in China, l’hackeraggio dei sistemi di bordo – o, più banalmente, una manina malandrina – che avrebbe aperto il portellone di poppa, facendo imbarcare acqua. Ma neanche la matrice della guerra finanziaria tra l’est e l’ovest regge.

Si potrebbe attendere il ripescaggio del natante, o un serio interrogatorio del capitano e dei membri del suo equipaggio srilankese, per saperne qualcosa di più, magari battere una pista interna ai servizi occidentali, ma si può star certi che l’esito sarà lo stesso dell’inchiesta sul “Good…urian”; dalla nave non uscirà niente e capitan fuggiasco prenderà presto il volo, al massimo con qualche erroruccio venale a carico. Qualunque sia l’esito, la natura e le ragioni dell’affondamento, resta una certezza: Don’t go near the water, state lontani dall’acqua, come ammoniva William Brinkley nel suo romanzo marittimo: un piccolo gioiello narrativo che i servizi, angloamericani e nostrani, dovrebbero rileggersi: alla larga dal mare già nostrum.

Buona ultima, una curiosità: il termine Bayesian deriva dal teorema del matematico omonimo, sul calcolo delle probabilità di un evento massimamente improbabile. Anche le navi, oltre che gli uomini, hanno iscritto nel nome il proprio destino.

In alto: Il Bayesian, Lynch e Bloomer, due tra gli scomparsi


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