Quante ne ho prese, ma quante gliene ho dette. Potrebbe riassumersi così, con una battuta, il confronto Iran Israele che rischia d’incendiare il Medio Oriente più di quanto arda. L’omicidio mirato e di massa nella storia dello stato ebraico
Quante ne ho prese, ma quante gliene ho dette. Potrebbe riassumersi così, con una vetusta battuta, il confronto Iran Israele che rischia d’incendiare il Medio Oriente più di quanto arda finora. La minacciata rappresaglia iraniana, paventata dai media globali e sulla quale gli analisti discettano da giorni, non farà eccezione. Né Ismail Haniyeh, l’ex governatore di Gaza fatto fuori – come prima di lui parte dei suoi 13 figli – in pieno centro e in piena notte a Teheran sarà l’ultimo a perire sotto i colpi dei servizi israeliani, Mossad o Tsahal poco importa. Colpiremo i nostri nemici ovunque si trovino, ammoniva all’indomani dell’ennesimo omicidio mirato il responsabile dell’aviazione di Tel Aviv. Detto, fatto. A fine maggio era stato fatto fuori nientemeno che il presidente in carica iraniano, Raisi, tramite la longa mano del Mossad in Azerbaijan, dov’è di casa come le pulci in groppa a un cane, e già il suo successore Pezeshkian deve presenziare ai funerali del leader di Hamas ucciso, buon amico di Khamenei, né può dormire lui stesso sonni tranquilli. Non è l’unico, del resto.
Dopo le contumelie di rito si passerà la mano a qualcosa di più serio, ma non troppo, per non incorrere nelle ire dei padroni del globo, il popolo eletto. L’unico paese al mondo che, spalleggiato dall’amico nordamericano – o piuttosto padrone in casa Usa – può permettersi d’ammazzare i suoi nemici ovunque si trovino, in casa d’amici come nel caso italiano, o di dichiarati nemici come in Libano, Siria, quel che resta della Palestina e, soprattutto, Iran. Insomma, ovunque. Una prassi tutt’altro che recente, ma consolidata in settant’anni di strapotere militare, politico, mediatico. L’unica differenza rispetto al passato è proprio qui: dall’inizio del XXI secolo, cioè della seconda Intifada, l’assassinio dell’avversario è reso noto, sbandierato come riprova d’efficienza e capacità d’annientamento.
Non è, storicamente, una novità né la pratica dell’omicidio mirato né del massacro di massa, ben presente nella storia d’Israele fin dagli esordi. Già le bibliche trombe di Gerico suonavano sulle mura crollate e cataste di morti, dopo la caduta della città cananea (giordana). E Sansone preferì buttar giù sé stesso, oltre alle colonne del tempio filisteo e alla massa dei nemici (palestinesi). Anche se schiere d’archeologi s’affannano a smentire le certezze bibliche, resta un fatto che, dai tempi più remoti e coerentemente col dettato divino, il massacro senza curarsi delle conseguenze è una pratica lecita. Del resto, si sa, in guerra e in amore tutto è permesso, alla faccia d’ogni convenzione o tentativo d’umanizzare la guerra.
L’omicidio mirato e di massa come prassi storica
Anche la prassi dell’omicidio mirato è vecchia come lo stato d’Israele. Restando ai tempi nostri, i primi di cui si hanno notizie certe sono due ufficiali dei servizi egiziani, durante la guerra di Suez del ‘56, falciati da altrettanti pacchi bomba. Tecnica efficace ma primitiva, se paragonata ai missili balistici odierni. Qualche anno dopo, in piena caccia al nazi, lo scienziato ex nazista Heinz Krug, reo di lavorare per i missili egiziani, viene rapito e fatto fuori, senza lasciare traccia. Nell’occasione l’ex pezzo grosso nazista utilizzato dal Mossad è nientemeno che Otto Skorzeny, già “liberatore” di Mussolini sul Gran Sasso e tra gli organizzatori del rapimento del figlio del reggente Horthy a Budapest. Dall’operazione, tuttora coperta, l’ex ufficiale delle SS ottenne la cassazione dalle liste dei ricercati nazisti da Wiesenthal e poté tranquillamente morirsene di cancro nella Spagna franchista. Qualche anno dopo un altro pacco bomba elimina il primo dirigente marxista dell’Olp, Ghassan Kanafani, scrittore e poeta palestinese, reo d’essersi fatto fotografare assieme a tre militanti alla vigilia di un attentato. Al suo braccio destro Abu Sharif andò meglio, ci rimise solo una mano, un occhio e un orecchio. Tra le file dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina gli ammazzati si contano come le mosche, né va dimenticata l’anomala fine dello storico leader Yasser Arafat, ucciso da una venefica manina israeliana secondo la vedova e i seguaci. Il vice Abu Jihad già nell’‘88 ci aveva rimesso la pelle. Ma l’elenco delle vittime è lungo: siamo ben oltre quota 2.300 morti ammazzati, secondo il giornalista israeliano Ronen Bergman che ha affidato le sue ricerche al saggio Uccidi per primo (Mondadori, 2018). Ultimi della lista i dirigenti di Hamas, di Hezbollah e dei Pasdaran uccisi nelle ultime settimane, da Damasco a Beirut, fino a Ismail Haniyeh, a Teheran. E siamo ai giorni nostri.
Che dire? Gli acchiappanuvoli sostengono che l’attesa fa parte della punizione, che la minaccia della rappresaglia iraniana è già una maledizione per Israele. Bibi se la ride, mentre finisce di sparecchiare Gaza – al costo di perdite “insostenibili”, dicono i soliti acchiappanuvoli, in realtà sostenibilissime pur di restare in sella – e intanto dà un colpetto qui e l’altro là, tanto per far capire chi comanda. Il marchese del grillo mediorientale può quel che vuole, nessun servo d’America o, peggio, d’Europa alzerà mai la mano contro di lui e il popolo eletto. Al massimo, qualche timido rimbrotto. Approfitta del momento d’incertezza degli Usa per alzare il tiro e sa benissimo che chiunque abiti la Casa Bianca non cambierà niente. Dio, e soprattutto l’America, è con lui. Che poi questa, e con essa la civiltà dell’hamburger, sia a un passo dall’implosione e già dentro la recessione, è secondario come l’ipotesi d’una terza guerra mondiale alle porte. Quanto agli Ayatollah, è bene che strillino forte, più forte che possono. Se dovessero tacere e passare alle maniere forti, alle risposte davvero dure, per loro sarebbe l’inizio della fine, coi mezzi che si ritrovano e gli amici già suonati. Per entrambi val bene un eterno nemico pur di restare a galla, piuttosto che darsele di brutto e rischiare lo spariglio. Quante ne ho prese, ma quante n’ho dette. Son botte vere, e chiacchiere da orbi.
Sopra: i funerali del leader di Hamas ucciso a Teheran. Rastrellamenti a Gaza
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