Della serie ve l’avevo detto, dimmi come chiudi e ti dirò come va. Cominciamo dai primi della classe, quelli che si dicono buoni ma segnati da tutti tra i cattivi sulla lavagna.
Della serie ve l’avevo detto, dimmi come chiudi e ti dirò come va. Cominciamo dai primi della classe, quelli che si dicono buoni ma segnati da tutti tra i cattivi sulla lavagna.
«Mai più militari morti e ammalati senza sapere perché, mai più una penisola interdetta». Non le manda a dire Gian Piero Scanu, presidente della IV commissione sull’uranio impoverito, che nella sua relazione finale chiama in causa i vertici della Difesa per le «sconvolgenti criticità» in cui hanno operato i militari italiani nei poligoni di tiro e sui campi delle guerre infinite dell’ultimo trentennio.
Alla fine, a Caporetto abbiamo vinto. È una vulgata non nuova quella che prende corpo nel centenario della più grande disfatta militare italiana.
Siete su una barca che fa acqua da tutte le parti, già piena per un terzo. Se qualcuno vi dicesse che l’unico modo per non affondare è riempirla del tutto, lo direste pazzo. Esattamente questo raccomanda la Corte dei conti a proposito degli F 35, ma nessuno si batte col dito alla tempia.
Riflessioni, a freddo, sul Vasco nazionale
Non sarà Santo subito, come canta Luca Bassanese, ma potrebbe esserlo presto.
Ave Cesare, morituri te salutant, salutavano i gladiatori (morituri) l’imperatore, prima d’iniziare i giochi nell’arena. Questa frase tornava in mente, oggi, vedendo sfilare il mortifero corteo presidenziale di Trump a Roma, la città un dì potente, oggi silente e dolente, per dirla come il sommo poeta, blindata e obliterata di zone rosse.
Nove maggio 1978, 39 anni fa. In via Caetani c’è un’auto minata. Così, in mattinata, una telefonata allerta la questura di Roma. Poco dopo le 14, le telescriventi iniziano a trasmettere un flash: il cadavere di Moro è stato trovato in una Renault 4 rossa, a mezza via fra Botteghe oscure e Piazza del Gesù. L’autopsia constata 11 fori di proiettili nel corpo.
Il sedicente mostro che impazza nei paesi della Bassa ferrarese e sulle piazze mediatiche è un paradigma italiano, racconta chi siamo e le tre realtà del paese legale, narrato e reale
Si chiama Tap, si legge Trans adriatic pipeline. È la tratta finale di un gasdotto di circa 4mila chilometri. Un’opera ciclopica, dal Caspio alla Puglia, ideata un lustro fa per foraggiare l’Europa, l’Italia in primis, di metano proveniente dai paesi dell’Ex Unione Sovietica posti fuori dalle grinfie di Putin, col placet di Washington.