Una romana a Milano. Anche, un viaggio sentimentale nella città che l’ha vista esordire nella prima personale, all’abbrivio di un sessantennio d’attività.
Una romana a Milano. Anche, un viaggio sentimentale nella città che l’ha vista esordire nella prima personale, all’abbrivio di un sessantennio d’attività.
Diciamolo subito: Loveless è un gran film, durissimo e bellissimo, e se l’avete perso è un gran peccato. Andrej Zvjagincev (o Zvyagintsev, se scopiazzate la traslitterazione anglosassone) si conferma regista puro e duro, e bene ha fatto la giuria dei Golden globe a premiarlo per il suo ultimo lavoro, Neljubov (senza amore, appunto), come già il suo precedente Leviathan, nel 2015.
C’è chi in tempi di crisi va a fondo. E chi non solo galleggia sul mondo fluttuante – la realtà circostante raffigurata dai pittori dell’ukiyoe, o della sofferenza cui i buddisti cercano di sottrarsi – ma raggiunge salvo e saldo l’altra sponda. Raggiunge la fama, persino. È il caso di Hiroshige Utagawa (1797-1858), tra i maggiori interpreti della silografia policroma fiorita in Giappone nel periodo...
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C’è un destino che accomuna uomini e paesi, a volte. Un bel bimbo vede mutare le promesse di un’infanzia felice in via Crucis. Un luogo prospero e ricco può tramutarsi in inferno. È il caso di Portorico.
Mettete insieme un pubblicitario e un disegnatore francesi di grido, un regista italoscozzese con la faccia da prete e padre napoletano dalle mani in pasta nella pizza, come d’uopo, in quel di Glasgow, e fatene un film. Un’opera seconda, quella d’Armando Iannucci, tratta da un fumettone – graphic novel, come suol dirsi – dal titolo d’antan: La mort de Staline.
Non è facile avere a che fare con la morte, soprattutto se è quella di un amico. Alessandro Kokocinski se n’è andato, un freddo mattino di dicembre, digrignando i denti alla commare secca che è venuta a prenderselo, fregandosene di quel che gli restava da fare, e alla vita a cui aveva ancora molto da dare.
L’inizio è col cappellaccio piumato e le fascine della Bestia nel grano, con le timbriche di Scorza di mulo, la fine è con la pianola e la struggente mestizia di Ovunque proteggi.
C’erano una volta sette emirati, nani politici ed economici, che campavano d’aria calda. Datteri, dromedari, pesca di perle e poco altro.
Christian ha tutto, o quasi. Un lavoro strepitoso – curatore d’un museo d’arte contemporanea ricavato nientemeno che dall’ex palazzo reale di Stoccolma – una casa di design e una bella macchina, ovvi corollari al suo stato sociale.
Come l’immaginate un pittore di corte nel tardo ‘500? In gorgiera e barbino? Giuseppe Arcimboldo era proprio così, ma in forma di cartigli, nel ritratto che si fece nel 1587 al suo ritorno a Milano, graziosamente permesso e lautamente pensionato da Rodolfo II d’Austria.