La triste barzelletta d’una squadra che macina allenatori al tritacarne senza che si veda l’ombra di un gioco decente, da tre lustri. E anche se don Claudio l’esorcista dovesse salvare la Roma dal fantasma della B…C’erano un portoghese, una greca, un serbo. Eppoi due romani, anzi romanisti… Potrebbe sembrare una barzelletta e forse lo è, continuare all’infinito e forse andrà così per un pezzo, la vicenda della Roma. L’ennesima malafigura rimediata al San Paolo, ribattezzato Maradona, spinge a una qualche riflessione anche l’incompetente che scrive queste righe. Ché di competenti, grazie a Dio, ce n’è a josa nell’italico suolo e un bel fottìo nelle stanze di Trigoria. Ennesima sconfitta annunciata, la prima del ritorno di Ranieri sulla panchina capitolina, la terza del suo curriculum. Andiamo a vederla, la Roma a Napoli, eppoi, con un certo procedimento induttivo, cerchiamo di capire perché, da un bel po’, guardare la squadra della capitale dà la stessa gioja di una seduta dal dentista e, gira che ti rigira, niente cambia.
La Roma napoletana
Sulla partita in sé, poco da dire. C’era l’annunciato pullman trasformato in groviera, davanti alla porta d’un portiere che s’è scocciato di fare miracoli. C’erano ex campioni capaci a malapena di ciccare un pallone a un passo e nuove promesse evaporate al sole. C’era un allenatore, vecchia bandiera, richiamato a gran voce dai campi a salvare la patria, come il Cincinnato della storia. Ma alla prima non n’ha imbroccata una, dando l’impressione d’essere bollito ancor più del cadavere della squadra che dovrebbe riesumare. C’era, insomma, tutta la panoplìa che ha riportato la Roma amerikana, quella dell’ultimo quindicennio, agl’infausti anni Settanta della Rometta, e peggio, sperperando soldi e buon gioco. Fino a veder aleggiare sull’Olimpico il fantasma della serie B, che non era di casa a Roma dal 1951, e don Claudio dovrebbe esorcizzare nella sua veste sacerdotale. Ma chi ancora s’appressa a questo o quel ciuco, a questa o quella magagna non cava un ragno dal buco. Il marcio è corale.
La Roma amerikana
Due gestioni made in Usa, dal 2011 in qua, dai Sensi a Pallotta e ai Friedkin. Soldi a palate, campioni a josa. Allenatori, soprattutto. Nessuna società ne ha macinati più della Roma, negli ultimi tre lustri. Promesse e mostri sacri, in tanti sono passati nel tritacarne romanista. Eccoli: Luis Enrique apre la fila, pigliando la squadra da Montella subentrato proprio a Ranieri, alla sua prima esperienza giallorossa. Zeman e Andreazzoli, Garcia e Spalletti, poi Di Francesco, ancora Ranieri e Fonseca. Qui arriva il botto, con Mourinho alla guida della Magica per quasi un triennio. Alzi la mano chi non ha creduto che con lui, e Dybala, Lukaku, Dobvik, la Rometta non avrebbe rialzato la cresta, fatto sfracelli e rientrata nell’agone internazionale come protagonista. Invece, solo una coppetta in Conference league – musica alle orecchie dei sordi tifosi giallorossi – e una finale in coppa Uefa malamente persa per palese volontà arbitrale. Poi il tracollo. Via San José, via De Rossi che avrebbe dovuto metterci una pezza con la sua bandiera, via dopo poche settimane l’inopinata terza scelta di Juric, un tecnico che vedeva raggi di sole nel diluvio d’attorno, e per buona misura pure della greca che l’aveva voluto e spazzato Trigoria con piglio imprenditoriale e zero sagacia, fino al ritorno di don Claudio l’esorcista. Intanto il gioco della Roma sprofondava sempre più nell’anticalcio per eccellenza, nell’horror vacui d’una maramaglia senza testa e costrutto. Ricordo gli occhi di mio figlio dopo la partita persa con l’Empoli in casa, sua prima volta all’Olimpico. Ma che davero?
La Roma, oggi e domani
E ora? Ammesso che l’esorcista scacci il fantasma, non sarà certo lui a ridare nerbo e gioco a una squadra priva di bel gioco e di senno da anni, chiunque siano i protagonisti. E non sarà certo chi è parte del problema, vecchie glorie e neopatacche, a ridarle un senso. Un nuovo stadio apportatore di trionfi? Può crederlo solo chi spaccia una speculazione per una rivoluzione, anime perse dietro al mancorrente. Poi perché funzioni servirebbe una società vera, non una che cambia l’usato con un usato ancora più incerto, s’affida al pallottoliere e sbaglia la lista della spesa. Tabula rasa? Questo sarà, e non sarebbe male, se la squadra sprofondasse in B per la seconda volta nella sua storia. Invece, quel che è peggio, si vivacchierà d’illusioni e fregnacce. Ché il tifo giallorosso, caso unico, ha di bello questo: s’accontenta. Oltre alla vittoria, al pareggio e alla sconfitta, sempre più frequente, c’è un altro risultato: la sconfitta che ce pò sta. Eppoi c’è sempre un arbitro a cui dare la croce, tipico italianismo dell’altrui colpa. Forse bisognerebbe smetterla d’accontentarsi, accampare scuse. Sarebbe già un bel passo avanti e un cambio di marcia per chi c’inzuppa il biscotto mediatico. E qui sorge una considerazione. Vada come vada, questa squadra è lo specchio della sua città. Arruffona, inconcludente, cialtrona. Una vecchia matrona che sotto al trucco non è neanche più buona come carne da bordello. Una vecchia inchiesta dell’Espresso, quando questo era ancora un giornale verace e di sinistra, recitava: Capitale corrotta, nazione infetta. Ecco, forse la spiegazione è questa, la soluzione è semplice e banale. Se sotto al parrucco non c’è manco il trucco, le chiacchiere servono a niente e i fatti restano una chimera. Roma ignava città dolente, Rometta squadretta derelitta. Una triste barzelletta.
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