I due compari e gli sdentati Qui mondo

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Ma che sorpresa, la desistenza in Francia ha fatto il suo, a perdere è la canaille di Voltaire

Sorpresona. La sinistra di Mélanchon sbanca Parigi, La destra di Le Pen s’affloppa e Macron se la ride, buon secondo. Respinge al mittente le dimissioni del primo ministro Attal e aspetta. Chi lo dava per finito, un azzardo la sua mossa di sciogliere anticipatamente le camere, deve fare chapeau al presidente. La primadonna dell’Eliseo s’è rivelata un Napoleone, sul campo raminghe vanno le divisioni della destra, frantumate dalla sua manovra a tenaglia, degna del grande còrso. Che sorpresa. I ballottaggi hanno fatto il loro dovere, la sinistra del Nuovo fronte popolare s’è alleata coi centristi di Ensemble per fare muro all’orda della barbarie fascista e così è stato, la Marinona e il suo famiglio Bardella si ritirano in brutt’ordine, fra loro già volano stracci. Erano scesi in campo per suonarle e se ne vanno suonati, come i pifferai della favola. Vive la France, progressista e di sinistra: a Parigi come a Londra il vento è tornato a soffiare dalla parte giusta e i commentatori vanno dicendo che Trump e Putin saranno i prossimi: all’armi siam tutti antifascisti. Sarà dura ma la Francia avrà il suo governicchio, anzi governone delle larghe intese o dell’intesa dei balordi, come l’ha ribattezzata non senza acredine il giovin Bardella, che gustava d’essere il primo vent’ottenne a salire le scale dell’Eliseo. E invece nisba, rotola giù dallo scalone senza manco averci messo piede. S’arrotolino tricolori e coccarde, si rimettano in un canto le mazzeferrate, andrà meglio la prossima volta.

La destra resta il primo partito del paese, per quel che conta moltiplica i seggi in Parlamento, dove è terza, ma la Meloni in salsa gallica e il suo protetto possono andare a prendersela in quel posto, avanti un altro. A salirci sarà, chissà, il redivivo Hollande che l’ha spuntata, se Macron vorrà essere così magnanimo da riportare in sella, da subalterno, lo sconfitto alle presidenziali. Ma il presidente in vitro dei Rothschild, per dirla come Fusaro, non sarà tanto sconsigliato da fare la mossa sbagliata. Il suo compare Mélanchon potrà anche fare la voce grossa e reclamare un posticino al sole, ma difficilmente uscirà dalla mezz’ombra dove sarà rintanato. Più facile che si metterà mano a un rimpastino, con un buffetto sulla guancia al vincitore morale del neofronte popolare, ma non è da escludere un bel governo tecnico. Tous Ensemble, un solo escluso. E mentre pure Charlie Hebdo almanacca su “V repubblica o bordello”, vediamo di capirci qualcosa, di fare un salto avanti facendone prima due indietro.

S’era nell’ottobre 1913 – oltre un secolo fa – quando il buon Giolitti non sapeva che pesci pigliare, con le prime elezioni italiane a suffragio universale maschile alle porte, i cattolici ancora a muso storto e la marea socialista montante. Poco importa che i socialisti fossero al solito divisi e perdipiù turatiani, i rosafucsia d’allora, lo spavento era grosso e andavano fermati. Ma come? A un liberale illuminato come lui non bastavano impicci prefettizi, mazzieri e patrie galere, occorreva altro.  A trarlo d’impaccio intervenne un altro illuminato, stavolta di parte cattolica: il conte Vincenzino Ottorino Gentiloni. Fu lui a proporre e sottoscrivere quell’accordo passato alla storia a suo nome: il patto Gentiloni, col quale là dove i socialisti avessero avuto una qualche possibilità di vittoria, gli altri due candidati, quello del governo e l’altro papalino, avrebbero fatto blocco, cedendo il passo a chi tra loro avesse avuto più probabilità di vincere. Fu, com’è ovvio, un democraticissimo successone per Giovanotto e il suo listone governativo. E poco importa – ma su questo i libri di storia perlopiù tacciono – che su circa otto milioni di aventi diritto i votanti furono sui cinque, circa il 60%. Suppergiù le percentuali dell’altroieri in Francia. La storia, come sempre, si presenta una prima volta in forma di tragedia e una seconda in veste di farsa. E torniamo all’oggi, anzi al domani.

Che sorpresa, dunque, che i ballottaggi al secondo turno abbiano fatto il loro, che col patto di desistenza Macron abbia raggiunto l’esito preparato e sperato, bloccato la destra. Che questa destra gallica, poi, possa essere diversa dalla nostrana, cioè non al servizio ma avversa ai poteri dominanti, è roba buona per il pubblico delle balconate, appunto. Restano due certezze. La Lepenona nazionale non ha convinto la maggioranza dei francesi che resta compiutamente divisa in tre, come recitano i manuali di scienza politica: tra chi sta bene come sta, chi l’accetta per mancanza di meglio o paura del peggio e chi non ci sta. Il suo messaggio antimigranza e sovranista, sotto l’ombrello a stelle e strisce, non passa. La Francia rurale e dei ceti medi impoveriti è con lei ma l’altra la segna a dito. Per ora non vince ma si rafforza, domani si vedrà dove andrà a parare il sistema per inglobare compiutamente chi lo contesta a chiacchiere. L’altra certezza è che nulla cambierà nella geopolitica d’Europa, anzi Macron potrebbe essere davvero tentato di costituire la punta di lancia dell’Europa che si batte per la libertà del dollaro. Dietro a lui, inglesi e tedeschi, spagnoli e italiani fanno ressa. Del resto, neanche il tempo di giojre per la vittoria che Parigi spariva da paginoni e notiziari: a Kiev piovevano missili su un ospedale pediatrico. Che tempismo mediatico. Come a Gaza, ma qui i bambini ammazzati fanno più effetto. C’è poi una terza certezza. A dirla Houellebecq: «Questo voto è più che mai un voto di classe», spara lo scrittore che s’avvia sempre più a essere, anche fisicamente, il Céline dei nostri giorni. «Le élite considerano il popolo, in particolare quello rurale, come dei pezzenti». Con qualche variante: gli “sdentati” secondo François Hollande (forse perché non possono permettersi di curarseli), più banalmente i “miserabili” per Hillary Clinton. La canaille, diceva l’illuminatissimo Voltaire. La canaglia. I poveracci. Altro che destra e sinistra. La lotta sarà tra chi potrà permettersi cure mediche e chi no. Tutti giù dalla barca, gridando liberté.

Sopra: Michel Houellebecq e un momento di festa a Parigi


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