I volti sono quelli, icastici e ieratici, d’una bellezza perduta, irrimediabilmente ferita. La mostra è quella che riporta all’attenzione del mondo i guasti del terrorismo anche in campo culturale: Volti di Palmira ad Aquileia. La sposa del deserto, era detta Palmira nell’antichità, città carovaniera, crocevia di merci e pensieri, fedi e scambi. Guerre, anche. Come l’ultima che ha preteso cassarne pure il ricordo. E spose ferite, dilaniate, sembrano quelle di pietra esposte per la prima volta dopo le distruzioni operate dal califfato nel sito archeologico siriano, patrimonio Unesco. Conteso e ripreso più volte dall’esercito siriano spalleggiato dai russi che infine hanno avuto ragione dei miliziani dell’Isis. Una memoria frantumata non tanto per ragioni militari, quanto in una guerra mediatica con cui i fondamentalisti islamici hanno voluto cancellare l’idea stessa dell’altro, sia esso il regime di Assad, l’Occidente già crociato, l’Islam non votato alla causa del califfo nero, il defunto Al Baghdadi.
Ma l’esposizione al Museo archeologico nazionale, curata dalla direttrice Marta Novello e da Cristiano Tiussi, direttore dalla Fondazione Aquileia che l’ha voluta, non è solo una mostra o un evento multimediale. Oltre ai pezzi salvati dalla guerra, sedici, provenienti dal Terra Sancta Museum di Gerusalemme, dai musei Vaticani, dai Capitolini, dal Barracco di Roma, o dallo stesso museo di Aquileia (otto), ponte fra Occidente e Oriente, ci sono gli Sguardi su Palmira. Gli scatti di Elio Ciol degli anni ‘90, prima della distruzione, a ricordare la città com’era, nella Domus e nel Palazzo episcopale in piazza Capitolo. Nella stessa piazza campeggerà per la durata dell’esposizione, fino al 3 ottobre, la scultura contemporanea Memoria di Zenobia, del siriano Elias Naman, a dialogare con gli antichi marmi. E ancora, durante l’Aquileia film festival saranno proiettati Quel giorno a Palmira di Alberto Castellani, il 26 luglio, con l’intervista a Khaled al-Asaad, il direttore delle antichità palmirene decapitato dai terroristi nell’agosto di due anni fa, e la prima italiana di “Destruction of memory”, di Tim Slade, il 29 luglio.
«Vogliamo far capire a chi verrà ad Aquileia che il danno non è stato fatto all’identità degli iracheni e dei siriani, ma a un’identità molto più ampia, mediterranea ed europea», dichiara Antonio Zanardi Landi, presidente della Fondazione. E di pulizia culturale al pari di quella etnica parla, non a caso, Irina Bokova, direttrice generale dell’Unesco. Celebrare Palmira come simbolo degli attacchi al patrimonio culturale mondiale non è fine a sé stesso. La mostra sulla città siriana è la terza tappa del progetto sull’Archeologia ferita, intrapreso nel 2015 dalla Fondazione nelle aree colpite dal terrorismo fondamentalista, dopo il museo del Bardo di Tunisi e quello Iran Bastan di Teheran. Ma non tutto è perduto. Per l’archeologo Paolo Matthiae, decano degli archeologi italiani operanti in Siria, malgrado le devastazioni «Palmira resiste per il 70%, e il 30% distrutto non è stato polverizzato, quindi potrà essere ricostruito». Insomma, non tutto è polvere. Qualcosa resterà di Palmira e dei suoi cittadini del mondo, nel mondo d’oggi che non si rassegna a essere ostaggio dell’odio e del terrore. Info www.fondazioneaquileia.it.
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