Italiani brava gente. E pure un po’ fessi La guerra infinita

Il ferimento di cinque militari del contingente italiano in Iraq, a 16 anni dall’attentato di Nassiriya costato la vita a 19 tra soldati e civili, oltre a riaprire una ferita nel giorno della strage solleva qualche interrogativo. Tolto ogni dubbio circa il reale ruolo combattente delle unità speciali nostrane – altro che forze di “tutoring” ai locali – come rivela l’intervista di Fausto Biloslavo all’ufficiale curdo al comando della spedizione dove i cinque sono stati feriti, con due peshmerga, il primo quesito è di natura contingente. Se i nostri incursori siano lì per aiutare i curdi, abbandonati dall’Europa e in primis dagli Usa, a resistere al terrorismo islamico importato e foraggiato dagli stessi Usa e dai suoi alleati occidentali e mediorientali, o piuttosto a contrastare il ripristino della sovranità di Baghdad, come di Kabul o di Damasco, in aree petrolifere che mai più si vogliono sotto l’egida dei rispettivi governi centrali. Cavalcare le linee di faglia etnica in zone di guerra è assai pericoloso.

Più controversa è la questione generale. Che ci facciamo noi italiani in Iraq, Afghanistan, Libano, Libia, Kosovo eccetera? Sono 45 le missioni cosiddette di pace, o altrimenti dette, in cui è impegnato l’esercito italiano, rinnovate dal Parlamento per il 2020. Dispiegano oltre 7.000 soldati, grossomodo una divisione del vecchio regio esercito in tempo di guerra e un decimo dell’esercito della Repubblica in tempo di pace. Solo la missione in Iraq costa all’erario circa 170 milioni di euro l’anno. Si tratta di missioni Nato fuori da ogni autorizzazione Onu e in palese spregio allo stesso statuto dell’Alleanza Atlantica – trattato difensivo sullo scacchiere europeo – che Londra e Washington hanno reso espressione di proiezione mondiale della loro volontà di potenza, mentre Parigi e Berlino vanno di fatto affossando.

Anziché farsi domande e trarsi d’impaccio, il ceto politico italiota polemizza con padre Zanotelli, reo d’aver detto che i caduti di Nassiriya non sono martiri di pace, ma morti per il petrolio. Magari padre, magari. Quei morti, e altri che verranno, sono stati ingojati nel buco nero di missioni Nato senza senso né costrutto, a solo nostro danno. Fuori da ogni logica militare e razionale. Fuori dai confini dell’Alleanza e dalle risoluzioni Onu. Fuori da ogni convenienza economica e persino da ogni mandato parlamentare, come quell’intervista, beatamente ignorata dal gran circo mediatico, ha dimostrato. Italiani brava gente, diceva un tempo la vulgata. E pure un po’ fessacchiotti.


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