È di qualche tempo fa la notizia della prima bambolina genderfree in commercio. Ammannita al volgo da parte della premiata ditta Mattel, permette di smembrare a piacimento le varie parti del corpo, parrucche e vestitini, colore della pelle e quant’altro, mescendo alla rinfusa generi e razze, come l’ideologia gender raccomanda e il pensiero unico dominante comanda. “Creatable world”, un mondo creabile, su misura, è stata chiamata la trovata commerciale che la megazienda statunitense assicura partorita da un team di genitori, medici e bambini, per una libertà & creatività senza limiti e confini. Il kit è in vendita su Amazon a meno di 50 euro, e l’approssimarsi delle feste è occasione quanto mai propizia per consentire ai piccini di giocare “in modo più inclusivo” di quanto fatto finora.
La public company di giocattoli con sede in un sobborgo di Los Angeles, nella California paradiso d’ogni progresso e libertà, non è nuova a trovate del genere. Dalla mitica Barbie al soppresso Big Jim, dai misconosciuti “actions heroes”, soldatini progenitori degli action figure, commercializzati alla metà degli anni Settanta e riecheggianti le gesta degli “eroici” marines in Vietnam (e chi scrive non ha avuto il buonsenso di conservare, per la gioia dei collezionisti di tutto il mondo), alle nuove Barbie nere in carrozzella, eroine portatrici d’handicap e diritti civili – a quando la commercializzazione della dolce Greta? – la Mattel è da sempre l’avanguardia commerciale, l’apripista ossequiante del pensiero dominante made in Usa.
Ma non sono più i tempi della soave Barbie e del suo muscoloso amico Big Jim, peraltro d’assai minor fortuna, non è più tempo d’eroi ammazzavietcong. Così la compagnia s’adegua, in pole position nel fiutare i cambiamenti, nell’orientare i gusti dei consumatori. Va da sé che qui non è in gioco il gusto, la creatività d’un gioco frutto d’una scelta pedagogica tanto sballata quanto vincente. La bambolina plurisesso è segno d’un preclaro disegno. Guai a vederla come un gioco di libertà più o meno innocente, come indulge a fare anche Avvenire, organo della Cei, in uno dei pochi articoli fuori dal coro mainstream. Nell’epoca d’oro del capitale totale – di cui Mattel è membro a pieno titolo – che ha trasformato pure l’eros in merce globale, il genderismo è l’ideologia d’un mondo deprivato d’ogni senso e sentire, dell’umano in toto, nullificato in attesa del cupio dissolvi.
La confusione suprema tra differenza sessuale, duale per logica e natura, e pulsione sessuale, in cui ognuno è libero di fare quel che crede, è propria del genderismo spacciato per progressismo. La bambolina genderfree rappresenta come meglio non si potrebbe il nuovo ordine erotico vigente, per dirla come Fusaro. L’imperativo categorico e assai poco kantiano di precarizzare ogni sentimento, la vita affettiva oltre quella lavorativa, a dannazione degli esclusi ai quali, come diceva Huxley nelle illuminanti pagine del Mondo nuovo, la neodittatura del capitale globale è ben felice d’accordare ogni libertà sessuale e civile a scapito dei diritti sociali e della reale libertà politica ed economica.
Che la sinistre fucsia, corifèe delle nuove libertà del capitale, dell’uomo smembrato, precarizzato e asessuato, genderizzato e gentrificato, siano le serve sciocche di tale progresso, è nell’ordine delle cose, è la nemesi della storia. Anche se resta un capitolo della scienza politica e storica tutto da scrivere quello che ha portato gli eredi del partito comunista più grande e stalinista del globo, Urss a parte, a divenire una sorta di partito radicale sempre meno di massa, di democrazia cristiana più laida che laica. Agl’imbecilli che sorridono ebeti auspicando un tale progresso ficcandosi nell’occhio il dito che indica la luna, è bene ricordare che qui non si discute di libertà sessuali. Del proprio corpo di cui ognuno è signore e padrone, nel rispetto dell’altro. Qui è un nuovo (dis)ordine mondiale che si va costruendo, a pezzi di bamboline e d’altre armi meno innocenti. Ma dal quarto stato al terzo sesso il passo è ormai fatto e ognuno sarà libero di ficcarsi il dito nell’occhio, anziché guardare la luna, o altrove per meglio godere.
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