Finalmente. L’America liberal e democratica, quella vera, è tornata. L’uomo dal ciuffo arancione, mazziato & scornato, ha mollato. I beninformati già lo danno su uno dei cinque campi da golf del lussuoso villone di Mar a Lago, in Florida. Dove l’ex inquilino della Casa Bianca, se si rivelerà più intelligente di certi granduomini di Casa Nostra, potrà rilassarsi e leccarsi le rogne, andando a zonzo tra le piscine fronte mare e le 128 stanze del suo buen retiro, più che preparare la rivincita per il 2024. Cosa che difficilmente potrà realizzarsi, anche se il secondo impeachment si chiudesse con un nulla di fatto, come probabilmente sarà. Sono stato l’unico presidente a non scatenare guerre negli ultimi decenni, ha detto il vecchio Trump prima d’inforcare la scaletta dell’aereo presidenziale e fare ciao con la manona. Difficile dargli torto, soprattutto a fronte del bombarolo Obama, Nobel per la pace, e dei suoi squisiti predecessori di marca repubblicana.
Largo ai giovani, anzi ai vecchi. Ad accogliere il nuovo inquilino della Casa Bianca c’era il maggiordomo, Trump assente. Ma Joseph Robinette Biden Junior, meglio noto come Joe Biden, non se l’è presa. Anzi, sciolti i bivacchi dei manipoli della guardia nazionale posti a difesa del Congresso e della democrazia in America, l’arzillo Joe, 78 anni all’anagrafe, ha tirato un sospiro di sollievo per l’evitata guerra incivile e mostrato subito di che pasta è fatto. Imponendo dure misure per il contenimento del Coronavirus, lasciato libero di scorrazzare dall’ex presidente: mascherina d’obbligo, per tutti, negli uffici federali. Poi s’è dato a nomine di grande caratura. Prima fra tutte Samantha Power responsabile di Usaid. Come a dire la longa mano della fazione creativa della Cia nell’esportazione della democrazia Usa nel mondo – suoi i capolavori in Nicaragua e Venezuela, per dire – tramite rivoluzioni colorate e meno. Poi un’icona del politicamente corretto, la pediatra (sic) transgender Rachel Levine sottosegretario alla sanità. Quella/o che l’amico scrittore Adriano Angelini, pur non insensibile al fascino del made in Usa, ha definito “un coso con una parrucca bionda in testa”. L’immarcescibile John Kerry, l’arcitrombato di sempre, al posto chiave di guardiano del riscaldamento globale, formidabile battaglia di punta del progressismo neoglobal. Sorvoliamo sul neosegretario di stato Anthony Blink, Tony per gli amici, allocati soprattutto dalle parti di Tel Aviv. Ci fermiamo qui, che già i complottisti digrignano i denti.
Ma la domanda vera, che tutti si pongono, è: quanto ci metterà il neopresidente a innescare il complesso militar industriale mettendo mano alla tradizione imperiale nordamericana? Chi sarà il primo sulla lista del vecchio Joe? Azzardiamo, come sempre, una previsione, da lavevodettisti quali siamo. Escludiamo la Cina, target finale degli amanti della democrazia d’ogni tacca, il boccone è ancora toppo grosso, al di là della portata anagrafica di Robinette, eppoi si guasterebbero gli affari di famiglia. Escludiamo per similari ragioni gli obiettivi intermedi, il fantaccione Kim e la Russia di Putin che s’ostina a non farsi vassallo degli Usa, come l’Europa. Rompergli i cabasisi nell’Est europeo e in Siria sarà una priorità, certo. Tante belle aree dove alzare il bollore. Ma dove si calerà la pasta sarà in Iran. Qui a giugno ci saranno le elezioni presidenziali e per quella data, potete giurarci, qualcosa accadrà.
Sopra: Biden e consorte s’abbracciano davanti al portone della Casa Bianca e la sottosegretaria alla sanità Rachel Levine
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