Venerdì scorso, la sera di Bruxelles era attraversata dagli echi di due colonne di sirene. Nel quartiere delle istituzioni Ue, quelle della scorta ai leader dei 28 paesi europei di ritorno dall’ennesimo, vacuo vertice sui migranti. A ovest, altre sirene accompagnavano in carcere Salah Abdeslam, solo attentatore sopravvissuto agli attacchi di Parigi. Ricercato ventre a terra dalle polizie di mezza Europa da quattro mesi e dato per scampato in Siria, mentre se ne stava bellamente a 400 metri da casa e dal baretto posseduto col fratello Brahim, tra i suicidi di Parigi “inoffensivi” – fattosi saltare al caffè Voltaire, come i tre allo stadio, senza provocare vittime – protetto da amici nella casbah di Moleenbek. Decine dei quali hanno tentato di sottrarlo all’arresto, come un qualunque valente camorrista in quel di casa sua. Da allora Salah, sedicente mente della macelleria parigina, dipinto come superbo combattente islamico, ancorché minutino, o delinquentello improvvido, rinnegato dai suoi caporioni dell’Is perché sfuggito al martirio, tira sospiri di sollievo e manda a dire di poter anche vuotare il sacco.
A pochi giorni dal suo arresto, altre sirene hanno impazzato per le vie di Bruxelles, trasportando decine di morti e centinaia di feriti dell’ennesima strage terrorista, in questa guerra infinita portata al cuore dell’Europa. Una vendetta dell’Is, che ha rivendicato le quattro bombe all’aeroporto e in metro, altre inesplose, per l’arresto di uno dei suoi migliori, ciarlano a caldo acuti commentatori. A scanso d’equivoci sulla vulgata, in un bidone della spazzatura uno degli attentatori suicidi, Ibrahim El Bakraoui, ha gettato il suo computer con tanto di testamento a conferma della vendetta. Meglio del passaporto di uno dei kamikaze ritrovato intatto sotto le Twin Towers o tra i corpi smembrati al Bataclan, meglio ancora della carta d’identità dimenticata in auto dagli attentatori al Charlie Hebdo. E nel chiacchiericcio del dopo bomba implodono le voci di chi chiede più unità e sicurtà, più mano pesante a tutela di libertà. Oltre che, ovviamente, unità sul campo contro il bieco Saladino, ovunque si trovi. Tra l’arresto e la strage c’è un nesso palmare, ma non la vendetta. Ché l’ambiguo Salah – figura specchiata del “gender” infiltrato dai servizi, ha goduto di ben altre simpatie e amicizie che non quelle dell’Is o dei vicini per scampare ai blocchi francesi e rendersi invisibile a pochi metri da casa, per mesi. Chi sono i suoi veri amici, e mandanti, si saprà se non finirà suicidato in carcere.
Ma l’attacco al Belgio solleva altri dubbi, e domande, sulla guerra infinita che si combatte nel vicino Oriente, e in Africa, con le sue pesantissime ricadute in Occidente. E dove si ha l’impressione che i servizi sedicenti amici di paesi che si vogliono uniti, più che fare ognun per se combattano in realtà una guerra sotterranea a fianco del comune nemico. Nessun attentato come quello di Zaventem e Moleenbek può essere organizzato in pochi giorni senza un’accurata predisposizione, di cui la cattura di Salah può essere l’innesco, non la causa. I luoghi sono segnati e i detonatori pronti da tempo, nella mappa del terrore. Colpire lì, al centro dell’Europa, significa colpire dove l’Ue è più rappresentata e, in teoria, protetta: un segnale ancora più forte del picchiare nel mucchio a Parigi. Colpirla dall’interno, che le tante Molenbeek d’Europa – 80mila abitanti, un terzo giovani sradicati da ogni contesto socioculturale in loco o d’origine, prede dell’ubbia d’una guerra sedicente santa in odio all’Occidente che li alleva ma non li nutre – sono altrettante roccaforti d’interessi perversi tra servizi non così scrausi come narra la vulgata e Islam radicale. Così, il 22 marzo di Bruxelles è davvero l’11 settembre d’Europa, più ancora del 13 novembre. Ma militarizzare vite e frontiere non servirà a molto. Ché i barbari non sono alle porte ma ben dentro l’Europa, e a muovere le fila dalla torre non sono loro. E i pattugliatori a volto mascherato nelle strade e negli aeroporti ne sono un vivida rappresentazione mediatica.
En passant un deputato belga, Laurent Louis, rilancia la voce che anche questi attentati siano “false flag” attribuiti all’idra terrorista ma perpetrati da un’unica regia che con la scusa della lotta al terrorismo islamico, e all’Islam tout court, punta a un nuovo ordine mondiale con sempre meno diritti e libertà per tutti, meno abbienti in primis. Mene complottiste dure da bere? Senz’altro. Ma se ci beviamo che nella cooperazione totale chiesta alle intelligence persino dalla lacrimosa Mogherini, l’Fbi o la Nsa condivideranno malefatte e fonti coi nostri servizi o altri, o che nella riunione Nato di metà febbraio a Bruxelles gli Usa abbiano chiesto all’Europa tutta – che ora ha una buona ragione in più per farlo – di mettere piede sul terreno in Siria, e in Libia, per portarvi una buona volta la libertà e spazzare via l’Is, creatura posticcia che sta in piedi grazie a loro e ai buoni uffici turchi e sauditi, siamo maturi per comprare la Fontana di Trevi ai saldi dal Totò di turno.
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