La vicenda di Genny ‘o chiatto e della Pompejana è una cartina di tornasole ideale della vita (e della politica) reale. Una storia d’amore finita male pure per il Belpaese, con la nomina di Giuli, e una gita in convento
È finita come (non) doveva finire. Col tacòn pèso del buso, come direbbero a Venezia. La toppa peggio del buco. Col ministro ‘nnammurato mazziato dalla bambocciona di Pompei, costretto a lasciare l’osso all’ex frontista nazionale, trasmigrato dal Maxxi nazionale. Se credevate che la commedia all’italiana fosse solo un ricordo, relegato nelle videoteche d’antan, vi siete sbagliati di grosso. Non è più sugli schermi che dovete cercarla, nelle sale dove il cinema nostrano non riesce più a sfornare niente degno del suo nome, ma nella realtà politica. E la vicenda di Genny ‘o chiatto e della Pompejana, coi suoi strascichi, è una cartina di tornasole ideale della vita (e della politica) reale. E allora ricostruiamola, per sommi capi e a giochi (quasi) fatti, questa storia d’amore finita male assai anche per il Belpaese.
Ah l’amore, anzi l’ammore, come si vuole in una commedia napoletana che si rispetti. Capace di trascinarti sulle vette più alte dell’esistenza, come tra gli abissi più profondi dello scoramento. Anche perché l’amore, con la morte, restano i soli fatti insondabili della vita. Mettici poi che si può resistere a tutto fuorché alle tentazioni, come diceva Oscar Wilde, e la frittatona è fatta, rompendo dozzine d’uova. Era una bellissima storia d’amore, quella tra il ministro e la bambocciona. Lui, Gennaro Sangiuliano, napoletano e giornalista di razza che dopo essersi fatto le ossa in varie testate vicine alla destra, quella vera di Tatarella e sodali, era giunto alla direzione del Tg2. Dove s’era talmente ben portato da meritare il dicastero della Cultura nel governo di destra, quella farlocca, della Melona. Tanti i suoi meriti intellettuali. L’impegno letterario, tra una biografia di Prezzolini e una di Putin, una puntuale ricostruzione storica dell’impegno mondano di Lenin a Capri e una presenza alla ‘ndocciata agnonese, per celebrare i natali materni e la tradizione molisana. Lei, Maria Rosaria Boccia di Pompei, imprenditrice e influenzatrice di chiari meriti e preclara virtù, già responsabile di grandi eventi in tutto lo stivale.
Ovvio che tra i due scoccasse la scintilla, che la nostra Pompejana doc fosse in prima fila per un ruolo di consulente in previsione del G7 della cultura che si terrà a fine settembre a Napoli, con una puntatina a Pompei. Tutto filava per il meglio e i due d’amore e d’accordo quando l’invidia e la gelosia ci mettono lo zampino e la moglie del ministro lo zoccolo duro. Agli ultimi d’agosto Genny si fa notare con un vistoso cerotto in fronte; la signora Sangiuliano, Federica Corsini da Nettuno, caposervizio in Rai Parlamento e trent’anni di matrimonio col suddetto, presenzia a Venezia alla biennale del cinema, abbracciata al marito, e la consulente esperta si vede privata della nomina ministeriale, allontanata dalle braccia dell’amato.
Quanto possa un’amante delusa l’aveva già spiegato al volgo e a Brancaleone da Norcia l’astuto bizantino Teofilatto, nell’indimenticabile pellicola di Monicelli. La Boccia da Pompei, tradita nel sentimento e offesa nella professionalità, costruita a furia di larghi sorrisi e belle terga postate sui social, spiffera all’urbe e all’orbi la tresca e Genny ‘o chiatto è costretto a scusarsi in diretta Rai e in lacrime, davanti al paese e alla consorte. Un pezzo da melodramma, da commedia napoletana verace. Autori di telenovele partenopee, scansatevi davanti al genio di Genny.
La Melona in un primo momento lo difende, e con lui il suo governo: non è il caso di farsi azzoppare così dalla sinistra (farlocchissima) che cavalca il caso e butta acqua sul fuoco dell’amore. Tira dritto com’è suo costume, lei a dispetto delle pose è donna romantica e sensibile ai cuori infranti, eppoi Genny assicura che pagava tutto di tasca sua, pure il caffè all’amata, mica le saccocce degl’italiani. O ministro ‘nnammurato sembra scamparla ed evitarsi un’altra zoccolata sulla capa pelata ma l’amante delusa tira più dritto della duciona, minaccia rivelazioni e foto osée – com’è d’uopo tra amanti – e per lui non c’è scampo. Addio ministro, addio Genny, speriamo di rivederti presto alla testa d’un qualche Tg e alla ‘ndocciata.
Al suo posto subentra un’altra perla dell’intellighentsia destrorsa: Alessandro Giuli. Uno che di cultura se n’intende, aquila mussoliniana tatuata al petto, passato di gran passo dal passo d’oca nelle vie capitoline al dicastero della cultura. Tra i fondatori di Meridiano Zero, assai più tosto del Fronte della Gioventù dove militava, e condirettore del Foglio di Ferrara, prima d’essere messo dalla Melona alla guida del Maxxi, il museo dell’arte del XXI secolo. Dove, dopo aver colto la differenza tra un vernissage e un’esposizione, s’è dato lustro per aver girato alla Gnam la mostra su Tolkien, icona della destra (sempiterna), prima d’essere collocato sulla poltrona giusta. Quella del povero Genny, dove si guarderà bene dal fare alcunché. Soprattutto d’assumere o, peggio, mettere mano sulle consulenti.
In conclusione, dalla padella alla brace. Pensavamo d’averla sfangata e invece no, l’amor che move il sole e l’altre stelle ha mosso pure Genny dalla sua poltrona, non ha trionfato. È bastata una zoccolata perché, da brava provincia d’America, l’Italietta cacciasse a pedate un ministro per una bambocciona. Fortunatamente il rimpiazzo è a prova di zoccolo e, se possibile, ancor meglio del sostituito, a riprova di quanto spessore alligni tra gl’intellettuali neodestri, e del crepaccio tra cultura di governo – questo come altri – e cultura in sé. Se fosse stata una satira di Marziale si sarebbe detta la Pompejana. Se fosse stata una commedia napoletana poteva titolarsi Genny ‘o chiatto, ‘o guappo e la malafemmina. Invece è solo una storia tra ‘o ministro ‘nnammurato e la bambocciona di Pompei. Una storia d’amor perduto, senza lieto fine neppure per il Belpaese, e d’un altro forse ritrovato. Ché Genny e signora si rivedono, mano nella mano e fede al dito, al santuario di Greccio, come Piero Marrazzo dopo la fuga col trans andò a genuflettersi a Montecassino. Ah, l’amor che move pure fratel sole, come diceva San Francesco. Il santo poverello su cui Genny sta preparando un saggio, a espiazione dei peccati e riprova d’ingegno e d’impegno culturale. Da Pompei a Greccio, tutto si tiene e ogni strada riporta a Roma.
Sopra: Sangiuliano, Boccia e, sotto, Giuli
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