Infinity di Pistoletto: il meglio della novantennale vita e carriera dell’artista al chiostro del Bramante
Quello che ti piglia subito, all’intrasatta come direbbero a Napoli, è l’Infinito. Anzi, un doppio infinito che segna de facto il suo contrario, l’immanenza del presente. Non che non te l’aspetti, ma fa sempre il suo effetto quel ghirigoro che traccia l’infinito, il suo segno d’artista. Infinity, di Michelangelo Pistoletto, parte bene, con l’usuale colpo d’occhio nel rinascimentale chiostro del Bramante, benché deturpato da cavalletti e plastiche, e prosegue meglio. «In questi anni», racconta Danilo Eccher, «si è elaborato un modello curatoriale che si discosta dal consueto e rigoroso piano museale, verso percorsi narrativamente più coinvolgenti. Lungo questo itinerario teorico avevamo individuato temi molto ampi e scelto sempre mostre collettive. Ora è giunto il momento di provare a proporre una mostra personale, individuando un artista che ha la forza di sostenere da solo il peso di un monumento storico: Michelangelo Pistoletto». Ecco qua, spiegato dallo stesso curatore, il senso dell’esposizione romana che raccoglie il meglio della novantennale esperienza di vita e carriera dell’artista biellese.
Ma entriamo nell’infinito di Pistoletto. A dare l’abbrivio, oltre al Terzo paradiso sub plastica al chiostro – una delle quattro opere “site specific” in mostra – l’iconica Venere degli stracci. Sempre coloratissimi stracci di casa sono al centro dell’installazione successiva: Concerto di stracci, appunto, che rievoca le casalinghe brume di pomeriggi uggiosi, odor di canovacci rinati a nuova vita e vapori di bollitori. E meno male che fuori piove, per stare in tema. Poi la gran sfera di carta, a raccontare l’universo mondo di palla e panzane, altra opera ad hoc, e la specchiante tavolata mediterranea, con le diverse sedute a rappresentare l’anima del mare già nostrum, quello specchio d’acqua legame di genti più che crocevia d’opposte sponde. E qui, sullo sfondo della muraglia di Love difference vergata dai visitatori, Pistoletto inciampa ma scampa allo sgambetto del politicamente corrotto, del volemose bene a tutti i costi, dell’inclusivismo prog a tutta forza, in forza della sua arcobalenica visione e filosofia esistenziale.
E andiamo avanti, tra i cartoni ondulati del labirinto, terza installazione ad hoc tra le mura dell’ex palazzo del cardinal Carafa, tra i quadri specchianti degli anni Sessanta e l’Autoritratto di stelle di quand’era giovine hippie. Saliamo le scale dell’ultima installazione “in situ” che porta al piano nobile, lo straniante Metrocubo d’infinito, svilito però dal passecchiare dei visitatori che ne limitano la profondità di visione; la colorata serie Porte segno arte degli anni Settanta; l’arringatore Etrusco a chiudere alla parola ogni via di scampo e, in chiusa di mostra, un liberatorio cancan di coperchi e piatti da percuotere per librarsi oltre l’infinito.
Che dire d’altro? Non è un’infinità che lascia l’amaro in bocca, quella di Pistoletto, piuttosto da gustare fino all’ultimo senza dimenticare due chicche minori, da non sottovalutare. Una traccia per i più piccoli, per meglio comprendere un percorso di alto profilo filosofico ma adattissimo anche ai bambini, e un’audioguida per adulti scritta da Giovanni De Stefano e musicata da Carlo Bruno, talmente ben fatta che, per una volta, ci sentiamo di consigliarne l’uso a compendio della mostra. Mal ultime le note dolenti: l’esorbitante costo dei biglietti, ben 18 euro, a riprova di un’arte che si vuole sempre più appannaggio di pochi, di classe oltre che di censo, e la gestione della caffetteria di palazzo, da punto ristoro d’ufficio più che luogo d’arte. Fino al 15 ottobre, info www.chiostrobramante.it
foto Manuela Giusto
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