L’invasione degli schiaccianoci Belpaese

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Raccontino delle feste consumizie

Un tale se n’andava nel dì di festa soprappensiero nel quartiere, a testa bassa, rimuginando i fattacci suoi, finché s’è trovato all’improvviso in una selva oscura, tra loschi figuri. Non era la boscaglia del poeta o spacciatori all’opera presso una catasta di monnezza. Era un drappello di soldatacci di legno a grandezza innaturale, vagamente minacciosi, dal ghigno inquietante. Nussknacker li chiamano, schiaccianoci, dal nome tedesco che li qualifica. Tradizione (sic) vuole che si tratti di un soldato costruito dai contadini di un villaggio boemo per dileggio della soldataglia tedesca che li vessava. La protesta pare abbia avuto successo e l’uso dello schiaccianoci protestatario e protettore preso piede. Dello schiaccianoci scrive pure Teodoro Amedeo Hoffmann, in età napoleonica, con l’omonima favola del soldatino che protegge una ragazzina e la sua casa dal re dei topi, musicata da Ciajkovskij. Tutt’altra storia, dietro cui non è difficile scorgere la paura del grande Corso. Fole, storielle con pochi o zero appigli alla realtà dei fatti, messe a foglia di fico a coprire l’ultima trovata consumistica.

Così, uno sgherro di legno s’è ripescato da un bugigattolo della fantasia per farsi ennesimo oggetto d’acquisto e consumo delle feste. I siti specialistici lo danno già in testa ai simboli del Natale: s’appaja all’alberello nordico – rigorosamente di plastica – e minaccia da presso l’egemonia dell’omone col barbone inventato dalla Cocacola, in grisaglia verde eppoi rossa, e grassa risata. Il presepe manco lo vede, è oramai un oscuro ricordo, in barba alla storia plausibile e alla tradizione verace. Del resto, il presepe non va più di moda manco in chiesa, a meno che non sia con un pajo di madonne al posto del fu Giuseppe o due pastorelli abbracciati in capo al bambino. O inzeppato di qualche figuro che impazza sulle bancarelle napoletane di San Gregorio Armeno, tipo Fedez e la Ferragnosa generosa, con buona pace del santo poverello e della sua famigliola messa a piè d’altare a Greccio.

Simboli vecchi di secoli o consolidate icone del marketing natalizio sono sopravanzati di getto da invenzioni nuove di palta: da un’invasione di schiaccianoci posticci che s’accampano in ogni strada e vetrina, stanno a guardia d’ogni salotto o negozio. Da presenza residuale e folcloristica questa soldataglia immota è divenuta il nuovo “must” delle feste, imprescindibile nella liturgia del santo consumo, d’obbligo in ogni casa come l’Alexa, la scatolina magica con cui dialogare in mancanza d’altri e di meglio, l’abbonamento a Netflix o Dazùn. Ma tant’è, direte voi, che male si fa ad accattarsi l’ennesimo cazzabbubbolo, un bel soldatone legnoso alla modica cifra di qualche decina o centinaja d’euro? I bimbi son contenti, i grandi si divagano come e più che alla bojata d’Halloween. Eppoi questi son discorsi da vecchi rincitrulliti, da nostalgici impenitenti, da apocalittici mai integrati. Da gente corta di manica e di cervello. Bisogna stare al mondo e nel proprio tempo, aprirsi al nuovo, coglierlo d’anticipo e d’infilata, mica rimuginare robe andate, stantìe come una pizza per turisti.

Ben vengano dunque lucine e musichette natalizie dai primi d’ottobre, svendite di panettoni – meglio se della munifica Ferragna – a ferragosto, alberelli plasticosi e calendarietti dell’Avvento, giostrine e ammennicoli vari, tutto per celebrare degnamente le sante feste consumizie. Accogliamo dunque a bracciaperte la soldataglia ghignosa dei Nussknacker, senza frapporre resistenza, come apriamo le chiappe ai desiderata di Washington e agli editti del Kaiserparlament europeo. Accogliamoli applaudiamoli adoriamoli questi schiaccianoci, nel dì di festa e nel nome del nuovo che sopravanza e cancella. Non siate come quel tale, poveraccio, che dopo mezzo secolo, per rigetto e metter zeppa e zizzania all’universale concordia ha trascinato i figli – poverini – per pratoni e boscaglie a caccia d’introvabile muschio per farne presepe di quelli veri, con tanto di cielo stellato di cartapesta, Magi e pecorelle. Gli atei, i miscredenti che rifiutano il verbo del santo consumo, non troveranno pace e per loro già digrignano a giudizio i denti, muovono le vindici mascelle gli schiaccianoci che s’appressano.


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