Quando uno come Massimiliano Parente dice che scrivi una cosa a mezzo fra Edgar Allan Poe – vale a dire l’alienazione Usa ai primordi – e Guido Morselli – la distopia italica della maturità – stai messo bene. Letterariamente parlando, s’intende: vuol di che d’alienati ne capisci e coi tempi che filano è una gran cosa. Così è per Adriano Angelini Sut, che per i tipi della Ensemble ha sfornato Imago lux (302 pagine, 14 euro, presentato in streaming dal sottoscritto e l’editore Matteo Chiavarone (vedi qui). Bella grafica, innovativa anche se un po’ caotica, come si conviene a una giovane e fresca casa editrice che intenda navigare nelle perigliose acque della narrativa italiana, tra squali incattiviti e balenotti spiaggiati. Una grafica vagamente inquietante, se vogliamo, speculum dell’inquietudine dell’autore, cui piede mai non riposa, e della storia narrata.
Siamo nella Roma a lui cara, in anni un po’ meno cari: tra il finire dei Sessanta e i primi Settanta. Dove matura, coi moti dell’animo e sociali, la liberazione delle coscienze e l’ideologismo militante. Una maturazione-liberazione mai portata a dama, arenata nella parte guasta dello scontro ideologico, nella lotta tra opposte fazioni. Una vecchia storia antica che il potere ha saputo cavalcare, domare, restituire imbrigliata al popolo massificato, tutt’altro che liberato. In questa storia, in quel tempo, prende corpo un potere che non è impegnato a rabbonire il borghese e tenere a bada il proletario: un potere molto poco terreno ma assai materiale, visto che domina la materia, questo mondo, da che mondo e mondo. Col placet d’un potere superiore che, ogni tanto, si concede di battere la fiacca e lascia fare.
In quella Roma ormai andata come quella dei quadretti di Roesler Franz, una ragazza di buona famiglia borghese entra in un bruttogiro, in una Comune di scervellati che dalle parti di Tarquinia è a stretto contatto col bassissimo, il principe delle tenebre. Qui la ragazza è risucchiata in un mondo ctonio dove non farà ritorno, se non sotto larvata presenza altra, nonostante gli sforzi e le ricerche della sorella Eva, protagonista della storia, che per cercarla giungerà fino in Provenza. L’Occitania un tempo terra di Catari e Albigesi, spazzati dalla crociata papale e dalle armi del re di Francia che così estese i suoi domini a Mezzodì. Terra d’eretici e dei fanatici che li sterminarono, dove la sempiterna lotta tra bene e male non ha conosciuto esclusione di colpi.
È qui che Eva giunge a seguito d’una soffiata per trovare Liliana che non è più tale, ma preda di una forza oscura che la sua mente razionale fatica ad accettare e capire. Sarà un incontro tragico quella tra le due sorelle, esiziale per l’una che ne muore, e per l’altra che muore nelle sue convinzioni, nella sua vita normale. A questo primo tempo segue un secondo, dove la protagonista ha modo di rifarsi una vita e una famiglia di là dall’oceano, a New York, poi un terzo. Il più contemporaneo, ambientato ancora a Roma, in piena pandemia. Dove Eva rivive l’incubo di cinquant’anni prima ai danni della nipote, e solo per un pelo stavolta potrà salvare almeno la ragazzina, se non altre giovani vittime del male dal suo imperio.
Angelini Sut nel corso degli anni si è dato a un eclettismo di generi e di scritture, spaziando dai fumi di Caronia alle passeggiate romane, dai romanzi storico-biografici di Mary Shelley e Jackye, al precedente L’ultimo singolo di Lucio Battisti, quasi finito nel calderone dello Strega. Generi diversi dove fa sempre capolino un tenue filo roso fatto d’intrigo e mistero, d’indicibile e invisibile. Stavolta lo scrittore romano squarcia il velo e confeziona una storia che davvero ha il piglio di Poe e Morselli, e non sarebbe affatto dispiaciuta allo sciroccato padre dell’horror made in Usa e al maestro bolognese delle allucinate storie di mondo altri, incastonati in questo. Qui l’orrore sale al massimo grado, al suo padre nell’Aldilà e padrone nell’Aldiqua, che gioca con le vite e le anime dei dannati in terra.
La prosa di Adriano è asciutta, elegiaca quanto basta, avvincente come si conviene al tema narrato. La sua tesi di fondo è che siamo nelle mani del maligno, più che d’altri, e solo una solida fede può impedire di finirci dentro anche se si ha la malavventura di gettare lo sguardo nell’abisso. Storia avvincente e, anche se mutuata da alcuni classici dell’horror di genere, come Rosemary baby, originale nel panorama coevo, soprattutto nella parte ambientata ai tempi d’una pandemia dove del male si respira ogni artificio, mentre la chiesa ufficiale deputata a combatterlo appare succube e silente. Storia non priva di chicche, come la suggestione della natura della luce oscura, l’essenza del male mutuata dall’antica divinità egizia di Apofi, il serpente notturno nemico di Ra, la scoperta d’una catacomba etrusca alle porte di Roma, realmente esistente anche se non dovrebbe esserci.
Nei, nessuno? Un paio. Tanta reiterata materia d’esorcismo non consente alla storia di decollare oltre un certo punto, l’appesantisce in passaggi forse troppo speculari. L’atteggiamento della protagonista, i suoi troppi e imbarazzati silenzi, specie in famiglia, le sue alzate d’ingegno, fanno mancare di veridicità certi punti della narrazione. Con un’avvertenza finale: se vi piace tuffarvi nell’horror anche se fuori dalla porta brancola un esercito di zombie in maschera, godetevi Imago lux. Ma se la pompa non vi regge, compratelo e mettetelo da parte, aspettate giorni meno funesti per misurarvi col maligno e la sua immagine di luce oscura.
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