«L’utopia è là nell’orizzonte. Mi avvicino di due passi e si distanzia di due passi. Cammino dieci passi e l’orizzonte corre dieci passi. Per tanto che cammini non la raggiungerò mai». Non c’è migliore definizione dell’utopia di quella che Eduardo Galeano dette sul finire dei suoi giorni. Lui che l’utopia l’aveva seguita per tutta la vita, e ancora non si stancava di guardare oltre l’orizzonte, ben oltre i settant’anni. Le parole dello scrittore uruguaiano scomparso tre anni fa costituiscono l’incipit della mostra A cosa serve l’utopia, alla galleria civica di Modena fino al 22 luglio. Un contenitore di sogni esiziali, come il ritratto del povero Tito di Mladen Stilinović, in svendita tra le carabattole d’un mercatino, nella Jugoslavia dilaniata dalla guerra civile.
A simboleggiare l’utopia smarrita, sulla locandina, c’è una scimmia appollaiata su una roccia, le ali piegate da cui colano escrementi, nell’evocativa immagine di Swetlana Heger. È nuda ma non balla, però incarna alla perfezione il karma occidentale, come canta Francesco Gabbani. La scimmia dell’utopia, che Galeano vedeva come un orizzonte irraggiungibile ma necessario al cammino, la rivoluzione e il suo carattere utopico, ma anche distopico, è il tema della mostra curata da Chiara Dall’Olio e Daniele De Luigi alla civica di Modena, come pure del diciottesimo festival Fotografia europea aperto a Reggio Emilia. Oltre una ventina tra mostre ed eventi che da Ravenna a Parma passando per Bologna, Reggio e vari luoghi dell’Emilia fino al 17 giugno faranno il punto sulle ribellioni, i cambiamenti, i sogni che hanno attraversato il mondo con la loro scia d’illusioni e orrori, e l’attraversano ancora.
«Che senso può avere oggi il termine rivoluzione – si chiede Walter Guadagnini, direttore artistico del festival – in un mondo complesso, segnato da squilibri sociali sempre più marcati e dalle grandi migrazioni, fattori che minano la stabilità di intere aree geografiche e culturali? Chi è il rivoluzionario, oggi? Difficile figurarsi l’epica di Che Guevara riportata nell’attualità, nel momento in cui il mito rivoluzionario è diventato icona funzionale per ogni uso: forse anche in questo caso è necessario ripensare non solo le immagini, ma l’immaginario collettivo del mondo odierno».
Eccolo qui il senso del festival, la sua bellezza che tracima dallo sguardo dei fotografi testimoni dei cambiamenti epocali raccolti e narrati lungo la via Emilia. Un occhio alla dimensione artistica della testimonianza, l’altro all’immaginario concettuale che le immagini hanno consegnato ai posteri, il festival è un vademecum delle utopie del XX secolo che l’oggi sembra deprivare di senso. Così è per gli scatti di Sex & revolution, l’immaginario della rivoluzione sessuale che ha attraversato i ‘60 e ‘70 a palazzo Magnani e le foto di strada di Joel Meyerowitz, a palazzo da Mosto, entrambi a Reggio. Così è per gli scatti su Pasolini e i resti di Palmira di Elio Ciol al Vescovado, all’Iran ritratto dai maestri persiani contemporanei ai Chiostri di san Domenico. Concludeva Galeano: «A che serve l’utopia? A non smettere mai di camminare». Allora, fatevi una passeggiata lungo la via Emilia. Info www.fotografiaeuropea.it www.galleriacivicadimodena.it.
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