Nel vento di Velch Scrissi d'arte

Inaugurata In terra di Vulci, scultura contemporanea dentro e fuori le mura. Una rassegna itinerante con la partecipazione di nove artisti: ormai un classico della Maremma laziale, fino al 13 settembre

C’è sempre un rischio a mettere una pezza nuova su un vecchio vestito: che si laceri tutto. Così è nell’arte, come nel cucito. Metti un’opera contemporanea in un sito antico, un classico in una chiesa moderna. Il pericolo è che si scolli l’insieme, venga giù il vetusto col recente, appaia posticcio. All’azzardo si sottrae un evento divenuto un classico dell’estate nella Maremma laziale. In terra di Vulci, scultura contemporanea dentro e fuori le mura, ormai alla quarta edizione, inaugurata a fine luglio in tre luoghi diversi, è una rassegna itinerante che vede quest’anno la partecipazione di nove artisti. Tra essi, Mara van Wees che ne ha ideato il progetto espositivo, curato da Francesca Perti.

Il borgo moderno di Pescia romana, il cuore medievale di Montalto di Castro e soprattutto il parco archeologico di Vulci sono i luoghi dove le opere dei nove non danno sentore d’addobbi posticci, ma integrano spazio e tempo andati di segni e sensibilità coeve. Gli esiti possono essere in alcuni casi velleitari o incerti, seppur concettualmente validi – vedi gli Ospiti di Paul Wiedmer o il Guerriero di Massimo De Giovanni – ma il senso generale è più di compiutezza che d’inespresso, d’integrazione che non d’estraneazione.

Questo è tanto più vero nel cuore dell’evento, quella Velch dei Rasna che i romani, dominatori e distruttori, ribattezzarono Vulci. È nei resti della domus del criptoportico, fondale di per sé suggestivo, dove il dialogo tra tempo, storia e linguaggi del contemporaneo si fa più serrato. Nelle stanze a cielo aperto, delimitate dai muretti, dove si staglia la Cupola di Tommaso Cascella, allignano le Impronte d’ossa di Eva Gerd, le geometriche figure di Mara van Wees con Cosma, i Coccodrilli di latta che fanno il verso a quelli plastici di Paolo Buggiani. Neopresenze simbiotiche nell’orizzonte ferroso del Moebius di Carmine Leta e nei versi di Pasquale Altieri, che avrebbero potuto benissimo essere declamati da un antico cantore Rasna. Declamate il suo Poema al tramonto, nel vento di Velch, magari dopo aver fatto il bagno nel fondale scenico e sacro del laghetto del Pellicone, norme anti Covid permettendo, e sentirete la presenza del passato fissarsi nel presente, tra l’antico e l’oggi sopprimersi ogni cesura.

Il che, al fondo, è nello spirito della rassegna, come scrive la curatrice: «Tutto il territorio interessato dalla mostra è un museo a cielo aperto della cultura etrusca, quindi ci troviamo di fronte a un dialogo tra natura, civiltà antica e arte contemporanea: un’opera esce dal “museo” per dialogare con un altro “museo” diffuso sul territorio». Fino al 13 settembre, info vulci.it/parco-di-vulcihttps://visitmontaltodicastro.it.


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