Scenari e retroscena dell’attacco dell’Iran a Israele: una rappresaglia preannunciata e ipercontrollata. La Terza guerra mondiale è rimandata (dopo la pubblicità)
Diciamo la verità: alzi la mano chi non ha tremato davanti alla notizia dell’attacco dell’Iran a Israele. Chi non s’è detto: ecco qua: la Terza guerra mondiale è cominciata, non bastavano i macelli in corso, questi balordi ci stanno gettando a capofitto nel fosso, in un nuovo massacro globale. E invece no, era tutta una finta o quasi. Eccezion fatta per la bambina beduina (altre fonti parlano di un ragazzino) che s’è trovata nel posto sbagliato al momento sbagliato, sulla linea del baratro. Ma cerchiamo di capire cos’è successo la notte tra sabato e domenica, 14 aprile, che forse passerà alla storia dopo aver dominato e allarmato le cronache.
Tre ondate, zero danni
Manca poco alle dieci, in Italia, quando Kenaf Zion (l’Ala di Sion), l’aereo del premier israeliano si alza in volo senza Netanyahu e signora che s’infilano nel bunker iperprotetto d’un amico imprenditore statunitense a Gerusalemme. Le difese antimissile e i caccia della flotta Usa, inglesi e francesi di stanza a Cipro e della Giordania sono già in volo, dopo che dall’intelligence degli Emirati Arabi e dell’Arabia Saudita è giunta la conferma che la rappresaglia promessa dall’Iran dopo l’attacco alla sua ambasciata a Damasco è imminente. Verso mezzanotte un nugolo di droni parte dall’Iran e da altre basi dei guardiani della rivoluzione in Siria e nello Yemen, contro alcune basi israeliane nel Negev e nel Golan – territorio siriano illecitamente occupato dalla guerra del ’67, in barba a qualunque risoluzione Onu. Anche dal Libano gli Hezbollah filoiraniani sparacchiano qualche selva di razzi contro le postazioni difensive dell’Idf. Dopo un’oretta parte la prima ondata di missili da crociera, dopo oltre un’ora e mezza la seconda e ultima ondata di missili balistici, 150 in tutto. Meno di una decina raggiungono il bersaglio, provocando qualche danno a una delle tre piste e incendiando un aereo da trasporto C 130 nella base di Nevatim (Germogli), da dove è partita l’Ala di Sion. Nessun altro danno si registra nella base aerea in pieno deserto del Negev, nel sud del paese, dove sono di stanza gli F35 responsabili del bombardamento di Damasco del primo aprile, in cui hanno perso la vita alcuni generali e funzionari dei guardiani della rivoluzione. Nella base sono stoccate anche alcune delle atomiche che Israele non ammette di possedere, trasportabili dai bombardieri lì di stanza. Ed è lì che i cocci dei missili iraniani hanno ferito l’unica vittima civile. Alle due e mezza l’Iran annuncia la fine della rappresaglia con gli ultimi droni esplosivi ancora in volo, in attesa d’essere abbattuti. In tutto ne sono lanciati circa 170.
A quell’ora Netanyahu è uscita dal bunker e ha già riunito il suo gabinetto di guerra (sopra, nella foto). E mentre da Teheran fanno sapere che per loro va bene così, e la gente fa festa nelle piazze manco gli Ayatollah avessero vinto la guerra o il campionato del mondo, Tel Aviv prepara la risposta che alcuni vogliono immediata e durissima. In fondo, è la prima volta che l’Iran si permette d’attaccare Israele direttamente e non per interposta fazione. I droni e i missili iraniani intercettati sui cieli di Gerusalemme o di Ashkelon resteranno impressi nella memoria come l’inizio della temuta apocalisse. Le diplomazie hanno il loro daffare per calmare le acque, Biden – costretto a lasciare anzitempo un weekend di relax nel Delaware – convince Bibi a rimandare il castigo del popolo eletto almeno a dopo le elezioni Usa. Dopotutto gli iraniani non hanno fatto grossi danni. E non hanno colpito nessuno, contrariamente a quanto accade ogni ora nella striscia di Gaza. Anzi, da più fonti si lascia trapelare la notizia che le direttrici d’attacco erano note in anticipo, comunicate ad hoc proprio per permettere all’“iron dome”, alla cupola difensiva israeliana di reggere così bene al primo massiccio attacco dall’aria della sua storia. Alessandro Orsini, già direttore dell’osservatorio sulla sicurezza internazionale e docente della Luiss, lo dice esplicitamente sul suo sito sicurezzainternazionale.com.
Senza bisogno di giungere a tanto, lanciare un attacco “massiccio” a spizzichi e bocconi, a ore di distanza tra un’ondata e l’altra, perdipiù mettendo preventivamente in allarme le difese aeree del nemico, non è certo il modo migliore per garantire l’effetto sorpresa e il successo militare dell’operazione. Mediatico sì, ma è un’altra faccenda.
Controsappresaglia rinviata, successo garantito
Comunque sia andata, alcune cose sembrano certe. L’annunciata e temuta rappresaglia iraniana, nome in codice Vadeh Sadegh, vera promessa, più che vera sembra una bufala. È servita a salvare la faccia al regime di Khamenei – al quale con ogni probabilità molti all’interno e all’esterno del paese chiedono guerra per affrettarne la caduta – ma ha mostrato la sostanza dei fatti. La cortina di ferro posta dalla superpotenza e dai suoi alleati europei e mediorientali a protezione d’Israele, a prescindere dal fatto che l’Iran abbia compiuto un atto di forza deliberatamente controllata contro lo storico nemico, e dunque la reale volontà e capacità offensiva iraniana. Netanyahu si riserva la mano pesante “nei tempi e nei modi più congeniali” e può gridare vittoria. Sa che può colpire l’Iran come meglio crede. Ha ricompattato il fronte dei tiepidi mentre continua a martellare Gaza e il sud del Libano. Ha sbloccato i fondi Usa per proseguire la sua guerra a oltranza e tenersi al potere alla faccia di tutti e di tutto. Il Marchese del grillo mediorientale è sempre lui. Il mondo può smettere di trattenere il respiro, la Terza guerra mondiale è rimandata, dopo la pubblicità.
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