Ieri ho scoperto d’essere vecchio. Cioè anziano. Non tanto perché reduce da un fresco infarto e l’osteopata mi ha pure diagnosticato una “minuta spina calcaneare” al piede destro che mi obbligherà a portare il plantare nei rimanenti giorni, o domani compirò 57 anni. Quanto perché lo stabilisce l’ennesima ricerca di professoroni d’indubbia fama, la plausibile quadra alla pandemia che impedirà un altro confinamento sociale totale e conseguente tracollo dell’economia italica. Lo studio, partorito da scienziati fronte ai quali i soliti stregoni Dogon impallidiscono, i cui nomi taccio per dignità di patria, stabilisce una soglia della vecchiaia, cinquant’anni, oltre la quale il Covid colpisce senza remore né pietà – lo dicono le statistiche che i premurosi media scandiscono senza soluzione di continuità, la conta quotidiana dei morti ammazzati. Gli ultrasettantenni falcidiati dal morbo, non i farlocchi messi coi cuscini a far numero per la gioja degli spettatori del Tg5 e di una sana informazione.
Orbene, lo studio di cui nelle stanze di palazzo e sui media grandi e picciò si dibatte con gran serietà sancisce che per la propria e altrui salvezza gli anziani (over 50) non debbano solo starsene a casa, come già fanno, ma in area protetta. Esiliarsi volontariamente e se occorre forzatamente dal vivere civile e sociale per sé e per gli altri. Chi può rifugga da famigli e lavoro – chi li tiene – ripari nella casa al mare o ai monti, in zona iperprotetta. S’isoli al mondo per salvare il mondo. Si dia vita ad apposite ville arzille a rovescio dove sopravvivere, in smart warking e videoconferenza coi cari, in attesa di tempi migliori e dell’antivirus di passo. Poi, chi sopravviverà vivrà.
Tornano alla mente altri e più illustri precedenti degli improvvisati Mengele nostrani. Il buon Nerone, narra la vulgata, previde di togliere di mezzo gli ultraquarantenni – età media del tempo – per evitare pesi morti all’impero. Più o meno la stessa idea espressa dalla presidente della Banca centrale europea Christine Lagarde che ha detto, giorni fa, come gli anziani rappresentino un peso insostenibile per la comunità europea. Fortuna che ci sta pensando il Covid a riequilibrare i conti.
Durante l’occupazione nazifascista venivano dette Villa Triste i luoghi di tortura nei quali erano rinchiusi partigiani e oppositori al morente regime. Oggi un pugno d’invasati vuole aprire dieci, cento, mille Villetristi per rinchiuderci gli anziani, tra i quali il sottoscritto. La massa, folle di paura, s’abbevera al terrore mediatico. Il paese, a testa bassa, segue prono il dibattito, pronto a riaprire le cancellate dei nuovi lager su cui è scritto, già l’ho scritto, andrà tutto bene. I pochi che protestano sono definiti fascistelli e teppistelli dai più e dai media, per il bene delle sacre istituzioni e delle sante inquisizioni.
E sia. Pure io, per il bene mio e di tutti, seguirò la scia a recchie basse, in fila con la mascherina senza protestare. Solo una prece, se si può. Ci si rinchiuda nei vecchi lager del regime, i campi di concentramento in disuso, o ancora in uso per le frotte di diseredati sbarcati in tempo di virus che la vulgata vuole portatori sani d’umanità. Ce n’è uno presso Farfa, a due passi dalla casa in cui sono nato (sono vecchio, a quei tempi si partoriva in casa, che follia). Voglio essere rinchiuso lì. Da dove, nel settembre ’43, una torma di prigionieri, in gran parte jugoslavi, fuggì per dare vita alla prima repubblica partigiana d’Italia, sul Tancia. Spero solo d’essere di qualche aiuto ai neoresistenti, col mio passato da ex ufficiale, e non di peso, vecchio come sono.
Sopra: l’ingresso di Villa Triste a Firenze e il campo di concentramento del Farfa in una foto storica
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