Tutto inizia con le luci a zigozagare sui muraglioni sbreccati dello Stadio di Domiziano. E la musica, bassa e cupa, a serpeggiare tra quel che resta del colossale palazzo dell’imperatore, ultimo dei Flavi, sul Palatino. Poi arriva lui, in camicia bianca e scapigliatura in tinta, ad affabulare la platea come sa fare. E le centinaia sedute ai suoi piedi, tra le spoliazioni della domus reputata ai tempi meraviglia del mondo, e le altrettante in tribuna, dove l’occhio spazia dal palco alle stelle, pendono dalle sue labbra. Alessandro Baricco è un affabulatore nato. Un intellettuale a tutto tondo, passi il pessimo epiteto, capace di spaziare dalla letteratura al teatro, trasformando in oro colato quanto tocca, con un tocco di marketing soave e geniale. La storia di Palamède non fa eccezione. Traposta dalle mura di Troia alle mura palatine per l’anteprima del Roma Europa festival, dopo essere stata pensata per il teatro Olimpico di Vicenza, racconta una vicenda di potere fuori dal tempo e trasforma una notte romana in un doppio incanto. Quello dei Fori e dell’opera dove l’autore torinese ha fatto ancora centro.
Palamède è l’eroe dimenticato, il rimosso per eccellenza. Il traditore cancellato dalla dannazione della memoria omerica. Comandante acheo al pari d’Agamennone, amico d’Achille, più furbo d’Ulisse tanto da superarlo in astuzia, più bello del principe troiano Paride, rapitore d’Elena. Pertanto inviso a molti, anche se ammirato dai più. E condannato alla lapidazione da parte di un tribunale che preferì credere al complotto che lo voleva al soldo di Priamo, ordito da Ulisse, da Diomede e dallo stesso Agamennone, piuttosto che all’innocenza del re cretese. Rimosso da Omero, Palamède è recuperato da Baricco (gli rimbalzava nella testa dai tempi della sua rilettura dell’Iliade) che gli ridà voce e memoria. E corpo e fiato, nelle avvenenti grazie di Valeria Solarino.
«Luoghi come questo sono uno strumento musicale enorme e antichissimo – dice Baricco – non bisogna farci teatro ma suonarli. Cercare di farli risuonare con qualche storia, o visione, o magia». Forse un po’ troppo agiografica la rievocazione dell’eroe mancato – che la tradizione greca vuole inventore degli scacchi, oltre che di vari accorgimenti bellici – chiusa dal discorso scritto in sua difesa dal sofista siculo Gorgia da Lentini all’inizio del IV secolo a. C., recitato dall’attrice. Dazio pagato a una damnatio memoriae durata millenni. Ma della storia di Palamède resta davvero la magia d’un duplice incanto, quando tutto finisce coi titoli di coda a scorrere sul muraglione di fondo dell’ippodromo. Nel palazzo che l’imperatore solitario e acchiappamosche fece in tempo a godersi pochissimi anni, prima di finirci accoltellato per una congiura del Senato, come Cesare. Testimone dei vuoti che il potere, immutabile, lascia dietro e dentro a sé.
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