Già alle tre del mattino il bilancio provvisorio sfiora le 160 vittime ma quello ufficiale resta inchiodato sui 120. Non è l’ultima delle contraddizioni della notte e del risveglio da incubo a Parigi. Sotto choc come l’Europa e il resto del mondo occidentale per l’attentato più sanguinario nella sua storia. Roba da far impallidire la dozzina di morti del Charlie Hebdo dell’inizio dell’anno che si chiude peggio di com’è iniziato. Parigi brucia, l’Occidente trema. Ma veniamo ai fatti. Sette attacchi sono condotti da un numero imprecisato di uomini dalla tarda serata di ieri. Al momento sono 8 i terroristi uccisi, sette dei quali si sarebbero fatti saltare in aria dai giubbotti esplosivi che indossavano, non senza l’immancabile grido d’invocazione ad Hallah che l’inviato del Tg 1 nella capitale francese ripeteva iersera come un mantra, nella carriolata d’inesattezze che i vari media andavano snocciolando. Il primo commando a entrare in azione è costituto da un gruppo che spara sui tavoli all’aperto di un ristorante cambogiano, nel cuore della ville, dileguandosi. Seguono due o più esplosioni in un bar presso lo stadio de France, dove Hollande e il ministro degli Esteri tedesco stanno guardando Francia-Germania. La partita viene interrotta e i due evacuati, mentre parte degli spettatori resta nello stadio, in preda al panico. A caldo, l’Eliseo decreta lo stato d’emergenza e la chiusura delle frontiere. Ma il peggio deve venire. A poca distanza dalla vecchia redazione del Charlie e dal primo attentato, tre uomini e una donna entrano al Bataclan, un ex teatro per concerti, e iniziano una carneficina sparando a freddo sui presenti. Il video di un inviato de Le Monde che abita sul retro del locale, ferito a sua volta, è piuttosto esaustivo ma è una pallida idea dell’orrore di quei momenti.
I reparti speciali irrompono nel locale, dove si conterebbero 118 morti, e li uccidono (o, forse, questi si lasciano esplodere) in un blitz di pochi minuti, deciso in tutta fretta sotto l’incalzare delle esecuzioni. La sequela di attentati e sparatorie prosegue nei pressi, senza esclusione di luoghi simbolici come il Louvre e il Pompidou, e con il bilancio provvisorio di cui sopra, oltre a circa 300 feriti. Al di là della conta dei morti, alcune domande s’impongono. Perché la Francia? Perché adesso? Com’è stato possibile? Chi sarà il prossimo? E, soprattutto, chi ha ideato ed eseguito l’11 settembre francese, come la notte parigina è stata prontamente ribattezzata dai commentatori occidentali?
La Francia è il solo paese europeo a essere intervenuto in Siria, sospinto dalla sua passata grandeur e da altri meno nobili ragioni, assieme agli Usa e alla Russia. Oltre a Israele, ovviamente, che non più tardi di un paio di giorni fa ha bombardato i suoi obiettivi presso Damasco nel sonoro silenzio dei media occidentali, impegnati piuttosto a far da grancassa ai presunti successi della coalizione a guida Usa nella guerra al califfato. Le banlieu parigine – come quelle di altre grandi città francesi, Tolone e Marsiglia anzitutte – sono certo più infiammabili degli slum londinesi o dell’hinterland meneghino, assai più delle città tedesche dove la Merkel traballa sotto l’onda dei migranti ma si guarda bene dal far mettere il naso fuori dalla porta di casa ai suoi panzergrenadier. Stamane a Vienna si sarebbe dovuta aprire quella conferenza per la pace voluta dalla Russia (che non può permettersi di restare invischiata indefinitamente nel pantano siriano) che gli Usa (interessati a tutt’altro scopo) stanno boicottando col glaciale assenso dell’Ue. Assise che ora servirà a tutto, se non a fallire prima d’iniziare, tranne che a trovare la pace sul fronte d’una guerra infinita.
I prossimi, a Dio piacendo e buona pace del Giubileo, saremmo noi, Roma e l’Italia, come i sedicenti martiri di Hallah targati Is (meglio, Us) vanno strombazzando sui loro siti pur in assenza di una chiara rivendicazione. Vivere all’ombra del Cupolone sarà sempre più difficile, aspettando il botto. E il «vinceremo» declamato da Renzi accodandosi agli omologhi d’oltralpe e d’oltre oceano, non lascia ben sperare, considerato il tale in camicia nera che lo proclamò l’ultima volta dal balcone di piazza Venezia. Infine, la domanda delle domande: cui prodest?
Attentati multipli come questi presuppongono un livello di organizzazione e complessità finora senza pari, in Europa. Per otto terroristi ammazzati – mai che se ne pigli uno vivo, in terra di Francia come d’altrove, e sì che i mezzi non mancherebbero – e senza contare gli scappati, almeno un paio, ne servono almeno tre volte tanti come fiancheggiatori e guardaborse. Tutta gente dotata della freddezza necessaria a sparare e ricaricare a freddo sulla folla, nel sangue e nel caos, con la certezza di finire sventrati da una carica o da una scarica. Quale lucida follia – ma davvero può dirsi folle gente così? – è necessaria per organizzare ed eseguire tutto ciò, sapendo di andare incontro a morte certa e al di là di qualunque possibile strumentalizzazione? Con gente così, che colpisce a caso per seminare puro terrore, come le rappresaglie nazifasciste per fiaccare la resistenza nell’ultima guerra mondiale, nessuna prevenzione, nessuna deterrenza è possibile, al di là della decantata sicumera occidentale.
C’è da aver paura, come candidamente ammesso da Hollande, altro che andare a sparacchiare in Libia e Siria pure noi, come lestamente proclama Salvini con notevole senso della misura e sprezzo del pericolo. Si diano pace il leader leghista e i postfascisti che s’è accollato, vogliosi di nuove avventure coloniali. L’Occidente con le sue giovani generazioni use al pollice verso solo in modalità ipad perderebbe in un clic la guerra guerreggiata e rischia di perdere pure lo scontro di civiltà che i burattinai dei massacratori stanno riattizzando. I tempi di Lepanto sono tornati, ma l’Europa non ha nessuna flotta con cui sbaragliare il Turco, nessun dio a cui grapparsi. Meglio tacere, e imparare a guardarsi dai falsi amici, come dai nemici finti o reali che siano. Quanto al resto, siamo davvero nelle mani di dio. Sperando che non le apra per farci sfracellare del tutto.
Ma per chi è ateo e non può fare neppure affidamento sul Signore, resta la domanda chiave: a chi giova questa ennesima strage? L’11 settembre francese è in realtà un 11 settembre europeo che fa sentire i suoi echi ovunque in Occidente, fino a Mosca, in Medio Oriente e oltre. Se la strage di Parigi servirà a scatenare una nuova ondata di guerre infinite, sulla falsariga dell’11 settembre di 14 anni fa, se servirà alla Francia ad agire «senza pietà», come promesso dal suo presidente non riferendosi certo ai ripristinati controlli alle frontiere, ricompattando il fronte della supposta lotta antiterrorista a guida Usa in Siria, allora i suoi mandanti e organizzatori potranno dormire sonni tranquilli. Quanto agli altri, potranno continuare a cullarsi nel sonno della ragione. Colpire al cuore Parigi fa della Francia l’epicentro adatto a sollevare un’ondata di sdegno che può avere come effetto e danno collaterale il rinfocolarsi dell’odio religioso e razziale, come danno ed effetto causale la guerra totale verso il terrorismo internazionale. Un drammatico film già visto, ma che gli imbonitori del marketing guerrafondaio globale in voga da decenni – non certo solo chi campa d’armi & petrolio – non cessano di mandare in onda. Da oggi, all’insegna della liberté.
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