A proposito di liberazione e dintorni, tre pillole di libertà tratte dal circo mediatico del 25 aprile.

Meglio tardi che mai. La votazione risale al dì di liberazione, ma leggo l’ultim’ora Ansa solo adesso: la giunta comunale di Sarno, paese natale di Giovanni Amendola, ha revocato all’unanimità la cittadinanza onoraria conferita a Benito Mussolini il 23 maggio 1923 in quanto mandante dell’omicidio del parlamentare comunista. Recita la motivazione, votata all’unanimità dalla giunta di centrosinistra: “La cittadinanza onoraria, a suo tempo conferita, risulta incompatibile con i valori di cui il Comune di Sarno e la sua comunità sono oggi portatori oltre ad essere in contrasto con l’art. 7 comma 1 dello Statuto del Comune stesso”. Ineccepibile.

Il duce val bene una messa. Più che una bufala, è un sempre(nero)verde. Questo pomeriggio, alle 18, si terrà “un messa” riparatrice in una chiesa del centro di Terni, in omaggio alla memoria del duce, di cui ricorre domani l’avvenuta esecuzione in quel di Giulino di Mezzegra, e dei caduti della Rsi. Altro che striscioni commemorativi a piazzale Loreto. Peccato l’errore ortografico sui manifesti del suffragio, affissi il 25 aprile e regolarmente vidimati dal comune, ma la commozione può giocare certi scherzi. La chiesa trovatela da soli, fate un po’ di fatica.

Antifascismo è non dire me ne frego. Questa è più datata, ma sempre valida. Maurizio Maggiani rievoca sulle pagine di Repubblica, organo dell’antifascismo militante, quando prese dal padre un “patton” per aver detto me ne frego, inconsapevole di quanta barbarie fosse in quel motto e pertanto punito dal severo ma giusto genitore. A perenne monito l’ottimo scrittore chiarisce che tra le parole da non usare mai, in nome del politicamente corretto e del più rigoroso antifascismo, è quella costatagli un manrovescio. Ah, i tempi in cui la Cia finanziava Scalfari in nome dell’anticomunismo militante.