Nei giorni in cui riparte la canizza sui due marò – meglio, uno, visto che l’altro, in permesso malattia a casa sua, non tornerà in India, a dire del governo che per fare la voce grossa richiama l’ambasciatore in loco per “consultazioni” – e le ombre corte della Mafia capitale si allungano sulla Marina, un’altra vicenda è passata inosservata ai più. Si tratta del via libera del Parlamento al finanziamento di oltre cinque miliardi (la metà di quanto richiesto) per ammodernare la flotta militare. Una storia che ricorda quella dei cacciabombardieri F35.
Entrambe le commissioni Difesa, con il voto contrario di Sel e Cinquestelle, hanno approvato il programma ventennale da 5,4 miliardi di euro stanziati dalla legge di stabilità del 2013 per la costruzione di una nuova portaerei, una decina di pattugliatori d’altura-lanciamissili, una nave appoggio sommergibili e due da sbarco. Il finanziamento non sarà a carico della Difesa ma del ministero dello Sviluppo economico, e dovrebbe aumentare progressivamente: dai 140 milioni del prossimo anno si passerà ai 690 del 2017 e via stabilizzando. Piccola chicca: se gran parte dei fondi (circa 4 miliardi) serviranno a finanziare i nuovi pattugliatori (vere e proprie fregate, in pieno assetto di combattimento), con 50 milioni stanziati dal ministero dell’Università e ricerca scientifica (Miur), oltre ai 250 previsti dalla legge, verrà pagata la nave appoggio sommergibili oceanografica da 10mila tonnellate e 127 metri, con un equipaggio di 80 marinai e 2 elicotteri. Ma la più importante tra le unità in cantiere sarà la nuova portaelicotteri da assalto anfibio (Lhd), da realizzare con i fondi ordinari della Difesa, che dovrà sostituire l’attuale ex portaerei Garibaldi. Si tratta di un’unità da oltre 20mila tonnellate e 180 metri, 5 elicotteri, 4 mezzi da sbarco e in grado di trasportare i marò della brigata San Marco, mille persone, compreso l’equipaggio di 200 marinai. Queste navi si aggiungono al processo di ammodernamento avviato con la portaerei Cavour (1,5 miliardi), due fregate classe Orizzonte (1,5 miliardi), dieci ipertecnologiche fregate Fremm (5,7 miliardi), quattro sommergibili U212 (1,9 miliardi), ottanta elicotteri da assalto Nh90 e Eh101 (3 miliardi) e, tanto per non essere da meno dell’Aviazione, quindici cacciabombardieri F35B (circa 3 miliardi).
La nuova campagna acquisti della Marina, voluta dal capo di stato maggiore Giuseppe De Giorgi, intende così mandare in pensione (meglio, vendere a qualche bisognoso staterello africano o latinoamericano) 50 delle 60 unità di cui è previsto il disarmo entro un decennio, entrate in linea dagli anni ‘80 e realizzate grazie alla legge navale che stanziava mille miliardi di lire per un decennio, voluta alla metà degli anni ‘70 dall’allora capo di stato maggiore Gino, padre dell’attuale. Che i destini della flotta italica stiano particolarmente a cuore alla dinasty marinaresca nostrana è ben presente nelle parole con cui De Giorgi figlio ha difeso a spada tratta nelle audizioni in commissione Difesa le nuove navi. Senza le quali l’Italia, a suo dire, già sopravanzata a livello europeo da Inghilterra, Francia e Germania e oramai a livello della Grecia, si sarebbe ridotta all’“irrilevanza navale”. Più che di ammodernamento, in effetti, sarebbe meglio parlare di potenziamento ma tanta abbondanza non poteva essere coperta se non con la foglia di fico delle missioni umanitarie e persino dei disastri ambientali.
Al riguardo, illuminanti sono le parole con le quali in Fincantieri, in prima fila nelle commesse, hanno difeso le loro creature: «Si tratta di un provvedimento molto importante per il futuro dei nostri cantieri e per quello della Marina militare che, come ha più volte ricordato l’ammiraglio De Giorgi, altrimenti rischiava l’estinzione e che per questo aveva chiesto al governo uno stanziamento di 10 miliardi». Illuminanti sono soprattutto i riferimenti dell’amministratore delegato Giuseppe Bono all’“interesse strategico delle problematiche migratorie”. «Il mare Mediterraneo – ha detto l’ad Fincantieri – è mare nostro e lo dobbiamo presidiare, quindi l’Italia deve dotarsi di una Marina che possa assolvere questo compito». Di più. «I pattugliatori di De Giorgi – ha spiegato Bono concludendo la sua audizione in commissione Difesa – sono navi polivalenti che potranno essere usate non solo per il contrasto all’immigrazione, ma anche in caso di calamità naturali: pensiamo solo a quanto sarebbero utili se eruttasse il Vesuvio». È evidente, dunque, che a fronte di tanta urgenza le esigenze della Marina siano state tenute in degna considerazione dal governo, come hanno tenuto a sottolineare dalla società, che ha ringraziato per le pressioni esercitate i sindacati e gli esponenti liguri del Pd più sensibili al futuro dei cantieri regionali: il presidente della Regione Liguria Claudio Burlando, il senatore ed ex sindaco di Sarzana Massimo Caleo, il senatore membro della commissione Difesa Vito Vattuone e ovviamente la ministra della Difesa Roberta Pinotti, sensibile al problema già da sottosegretaria allo stesso dicastero con Letta.
Emergenza Vesuvio a parte, cosa se ne faccia la Marina italiana di navi oceanografiche per i sommergibili e fregate lanciamissili per stoppare i migranti, di navi da sbarco e nuove portaerei non è dato sapere, se nel Mediterraneo neppure riusciamo a fornire il richiesto appoggio logistico ai libici impegnati nella riconquista di Tripoli nelle mani dei sedicenti fondamentalisti. E – ultima chicca – dal suo varo nel 2004 la portaerei Cavour è stata utilizzata solo un paio di volte come sorta di fiera galleggiante del made in Italy, ambasciatrice commerciale delle aziende italiane (Fincantieri, Finmeccanica, Eni) che si sono sobbarcate le altissime spese giornaliere di navigazione, sui 300mila euro. Ma non avevamo già dato con le manie di grandezza della Marina militare, capace di farsi mettere fuori combattimento i suoi gioielli in una notte, in quel di Taranto, da una flottiglia di biplani di legno e tela inglesi, sull’abbrivio della Seconda guerra mondiale? Tanta competenza ricalca assai da vicino quella dell’accorto presidente della commissione Bilancio della Camera, anche lui in quota Pd: quel Francesco Boccia da Bisceglie che voleva usare i cacciabombardieri F35, di cui è fan sfegatato, in funzione antincendio, magari sulla Sila.
E, a proposito di cacciafrottole, nel pervicace tentativo di vendere i 90 rimasti dei 135 inizialmente ordinati, il Joint strike fighter program office (Jpo) della Difesa Usa annuncia che il centro di manutenzione degli F35 europei e statunitensi nel vecchio continente sarà nella base aerea novarese di Cameri. Almeno in un primo momento, ché dalle parti di Londra già strizzano l’occhio per accaparrarsi la commessa. E vai ai peana all’indirizzo dei buana che tanto hanno concesso, con gli estasiati commenti della ministra Pinotti e dell’ad Finmeccanica Mauro Moretti. Salvo poi scoprire che rimettere in sesto le peggiori e più costose carrette nella storia dell’aviazione non solo Usa – il cui costo attuale, è bene ricordarlo, è di circa 135 milioni di euro l’uno – non porterà vantaggi tecnologici, visto che i lavori riguarderanno il velivolo senza sistemi d’arma, equipaggiamenti e motore, dati in pasto ai turchi. Bassa manovalanza, quindi, e zero ricadute di lavoro.
A dirlo non è il solito circolo della sinistra pacifista, ma uno dei più informati siti di affari militari, www.analisidifesa.it, con in bella mostra sulla testata il suo bravo fiocco giallo per il ritorno in patria dei “nostri” marò ma in prima fila nel mettere in guardia da tali bufale. Dove, da tempo, il direttore Gianandrea Gaiani, autorevole commentatore di militaria sul Sole 24 Ore, sottolinea come per l’Italia il programma F-35 non sia un buon affare sotto nessun punto di vista, in quanto «azzera la sovranità nazionale, pone la nostra industria alle dipendenze di Lockheed Martin e azzoppa definitivamente le forze aeree con un velivolo che non riusciremo a gestire. Sul piano dei ritorni industriali la situazione non è migliore: produrremo poche ali e qualche bullone realizzato da una quarantina di piccole e medie imprese. Nulla di sofisticato e non avremo ritorni nel campo del know-how dal momento che le tecnologie avanzate del velivolo verranno trattate solo da personale statunitense in aree “Us only” (ma pagate dai contribuenti italiani) dello stabilimento di Cameri». Zero valore militare e costi insostenibili, dunque. Almeno la regia Marina per rimettere in riga i Boxer in Cina si accontentava delle pirocorvette.
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