Fin qui, la storia. Poi c’è la poesia. Quella che innegabilmente Sorrentino sa infilare nei suoi (capo)lavori. Poi c’è l’abilità nel mettere in scena personaggi (quasi) sempre credibili, siano outsider o vecchi mostri conclamati. Poi c’è il sogno. Quello di cui sono inzeppate le sue pellicole oniriche. Poi c’è lui che piace o dispiace, ma dal cui stile dolcecupo non si prescinde, nel panorama italiano coèvo. In Youth – che filmicamente si colloca a mezza via tra La grande bellezza e This must be the place, c’è tutto questo – ma manca il resto. La bellezza, pur criticato, prendeva a modello una Roma eterna ma sfatta per narrare con toni onirici ed efficacia neorealista la decadenza del Belpaese. The place, pur osannato, si trascinava sulle strade Usa per volare alto sui paesaggi della mente e della memoria. Con La giovinezza Sorrentino punta ancora più alto ma il tiro non sembra aver centrato l’obiettivo. Più simile a quello di certe pietre piatte lanciate a pelo d’acqua, pare andare lontano ma va a fondo, per quanto rimbalzi.
La giovinezza galleggia, forte di un impatto visivo al solito preminente su dialoghi ridotti all’osso (girati in inglese, come in The place) e boutade all’apparenza geniali – l’attore californiano che reifica Hitler, il balletto felliniano delle donnine compiacenti verso il regista, la miss sulla passerella sospesa in una piazza San Marco sommersa dall’acqua alta – ma mere vie di scampo in una narrazione che affonda anche senza andare a fondo. Dove l’esito finale appare volto a una ricerca estetizzante fine a sé stessa, incapace d’affondare il coltello nelle pieghe-piaghe del contemporaneo con toni elegiaci. Ché poi è la cifra stilistica del regista partenopeo, il quid delle varie tappe del suo percorso d’autore: la citata Bellezza, Il divo, Le conseguenze dell’amore, e via sorrentineggiando. Puntare tutto sull’estetica porta alla visione senza affabulazione, non c’è sorpresa dopo aver scartato il pacco, anche se all’utente globale forse piace il gusto. A Cannes e in casa la critica s’è divisa tra frizzi e lazzi, il pubblico pare apprezzare. Meglio il Sorrentino doc, senza grappino.
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