C’è una storia, vecchia come il cucco, però vergine. Antica come il mondo, ma tutta da scrivere.
C’è una storia, vecchia come il cucco, però vergine. Antica come il mondo, ma tutta da scrivere.
Ave Cesare, morituri te salutant, salutavano i gladiatori (morituri) l’imperatore, prima d’iniziare i giochi nell’arena. Questa frase tornava in mente, oggi, vedendo sfilare il mortifero corteo presidenziale di Trump a Roma, la città un dì potente, oggi silente e dolente, per dirla come il sommo poeta, blindata e obliterata di zone rosse.
La sagoma scura del carrarmato campeggia sulla copertina rossa, tra le fumate delle granate, bianche come il titolo: 2017, war with Russia. Sugli scaffali delle librerie londinesi, dov’è appena uscito, fa un bell’effetto, con quei caratteri grandi e un po’ retrò, stile anni ‘70.
Chissà perché i media si sgolano e i liberal d’ogni colore si sbracciano per Hillary. Sarà perché è la prima donna in corsa per la Casa Bianca (con la quasi certezza di salire al soglio del Campidoglio), in un paese dove fino a trent’anni fa non potevi manco salire sugli autobus di certi stati se eri di colore, e ancora oggi se sei negro –...
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Non era affatto scontato che Hillary e Trump vincessero facile nella Grande mela, come pure titola il New York Times dopo il martedì divenuto il punto di svolta delle primarie Usa.
Venerdì scorso, la sera di Bruxelles era attraversata dagli echi di due colonne di sirene.
La primavera a Cuba è sbocciata sulle ali dell’Air force one in volo sull’Avana.
È tornata una calma apparente a Ben Gardane, dopo un giorno di fuoco e una notte di coprifuoco che hanno lasciato più di cinquanta morti sul terreno. La quiete dopo la tempesta, anche se la bufera è di là da venire, in Tunisia. Col confine libico a un passo, indifeso da una barriera di filo spinato e sabbia.
E mò so’ cazzi. A dirlo non è la contessa, ma l’establishment del Gop – il Grand old party – come i galantuomini repubblicani chiamano sé stessi dal finire dell’‘800.
Da una parte la rappresentante Ue Federica Mogherini e il ministro degli Esteri iraniano Mohammad Zarif che sorridono come novelli sposi in luna di miele. Dall’altra Edward Luttwak, vecchio arnese della falcheria statunitense, che denuncia la resa umiliante.