Trump, il futuro è alle spalle Qui mondo

Big Don è il 47esimo presidente Usa. Ma aspettando l’insediamento tutto può ancora accadere. Cosa (non) cambierà con il bis dell’uomo dal ciuffo

Coraggio, il meglio è passato, c’è un magnifico futuro alle nostre spalle. Se fosse ancora vivo, Flaiano avrebbe commentato così la vittoria di Trump. Non perché la buonanima d’Ennio fosse iperdemocratico come un kamalliano di ferro, ma perché davanti alla nuova età dell’oro Usa preannunciata da Big Don la sua freddura casca come il classico pecorino sulla matriciana. Trump è dunque il quarantasettesimo presidente eletto nella storia degli Stati Uniti. Il secondo a ripigliarsi al secondo mandato non consecutivo quel che gli era stato furbescamente tolto da “Sleepy Joe” e dalla longa manus dei servizi Usa quattro anni fa nell’affaire di Capitol Hill, come candidamente ammesso dai vertici dell’Fbi, per proteggere la democrazia made in Usa. Stavolta il paccotto regalo dell’epifania 2021 non s’è ripetuto ma, tranquilli, all’insediamento mancano due mesi e tutto può ancora accadere nella patria delle libertà promesse e mancate.

Per ora Trump se la gode assieme a Melania, grisaglia verde lei e blazer blu lui, e ne ha ben diritto. Ha settantotto anni, un’età per cui molti manco riescono a dare il mangime ai piccioni dalle panchine – appena men vecchio di Biden, sperso nel parco della Casa Bianca in preda alla cupezza – col piglio e la voglia d’un adolescente in fregola. È sopravvissuto a due attentati neanche tanto farlocchi, a processi in aula e di piazza che avrebbero stroncato chiunque e ad accuse che adesso finiranno, buon per lui, nel cestino della carta straccia. Come quella dei media mainstream, schierati in buona misura contro. Detrattori e nemici, mediatici e reali, non si daranno per vinti, convinti che Big Don incarni la quintessenza del male, il neonazi per antonomasia neanche fosse un Lindbergh in groppa al redivivo spirito del Saint Louis.

Si noti, di sguincio, come Rai 5 abbia mandato in onda il Complotto contro l’America tratto dall’opera omonima del guru democratico Roth, mentre il rinato Partito comunista d’America abbia votato per lui, richiamandosi a Gramsci e compagni. Surrealtà del mondo nuovo. Lui se la ride, pugno chiuso e cappellino rosso in testa, l’America si colora pur’essa di rosso repubblicano – sulla carta – e gli sorride, del blu democratico restano sprazzi. Ha conquistato Camera e Senato, oltre trecento grandi elettori sui 270 necessari e il voto popolare, una rarità, più di 70 milioni d’americani a ridargli fiducia. L’uomo dal ciuffo arancione, divisivo come pochi, è a capo d’un paese diviso più che mai.

Certo i poteri davvero forti non se ne staranno con le mani in tasca a guardarlo dar vita al progetto di ridurre l’Europa a un’orfana d’America e il mondo non mera transumanza in preda all’intelligenza artificiale e al terrore ambientale, alle menate lgbt, alle pandemie sistemiche e ai conflitti necessari a mantenere al potere residuale la superpotenza globale. Gl’inzepperanno di sassi il cammino, già arduo, verso il Campidoglio e oltre. Già il trantran mediatico spara alzo zero contro il rinato buon senso e chiama alla sempiterna resistenza. Se Big Don realizzasse metà delle promesse fatte sarebbe un diluvio da far impallidire Noè e il suo caravanserraglio. Ridare dignità e certezze ai ceti medi precarizzati. Scoperchiare gli armadi del Covid e delle altre pandemie in farsi, mettere fine alle guerre. Almeno quella che si combatte in Europa orientale e l’altra che si prepara nell’Artico, nuovo fronte nord da aprire.

Il conflitto in Medio Oriente, invece, può proseguire senza intoppi fino alla soluzione finale prospettata da Israele: non è certo Trump tipo da mettervi fine, come qualsiasi altro inquilino alla Casa Bianca. L’Iran e la Cina restano i nemici da abbattere, sul piano militare l’uno e commerciale l’altro, e niente cambierà al riguardo nella politica estera Usa. Ma già così basta a mettere un freno, non a mandare in pezzi, l’idea globalista del mondo a venire, avviandolo verso quel multipolarismo che vedrà l’America ridotta a inter pares non più primus. Chi vivrà vedrà, per ora si gridi con Trump, parafrasando Kamala: dai Joe, ce l’abbiamo fatta. Non sarà una nuova e bella storia, ma forse migliore della vecchia vista finora. Un gran bel futuro alle spalle, per gli Stati Disuniti d’America e i suoi asserviti servi sciocchi e sodali.


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