Würth, emozioni di luce Scrissi d'arte

Immaginate d’essere in piena campagna, nel niente. Sole a picco, temperature da schiantare pure le lucertole, sterpaglia che piglia fuoco qua e là, tra un centro commerciale e una complanare. Insomma, il nulla urbanizzato da cui si levano pennacchi di fumo. Poi, oplà, ecco che appare.

Allucinazione, cattedrale nel deserto o tempio, fate voi. È questo l’effetto che fa il centro Würth di Capena e la sua appendice dell’Art forum. Il centro d’arte annesso al polo di stoccaggio è un unicum nel suo genere. Merito del fondatore, il mitico Reinhold Würth, classe 1935, che a 19 anni rileva la ferramenta del padre trasformandola in una multinazionale dal fatturato plurimiliardario, punto di riferimento per chiunque voglia piantare un chiodo o costruire una palazzina. Era il 1963 quando Reinhold fonda, assieme al socio Onorino Soccol, scomparso da pochi anni, l’appendice italiana della società, non distante da Bolzano. Poi dalle parti di Bologna, infine presso Capena, alle porte di Roma, sorgono le altre sedi italiane del gruppo. Ed è in quest’ultima che prende corpo un’altra delle intuizioni del fondatore. Negli stessi anni dell’avventura italiana, herr Würth acquista il suo primo quadretto. Un acquerello di Emil Nolde, al secolo Hansen, tra gli esponenti dell’arte degenere osteggiata dai nazisti, benché il pittore fosse tra i fautori del nazionalsocialismo danese. Oggi la collezione Wurth conta la bellezza di oltre 18mila opere contemporanee, quanto un museo di pregio. Un patrimonio esposto gratuitamente, a cadenza annuale, nel centro d’arte come nella decina d’altre sedi internazionali. E qui torniamo al nostro tempio.

E-motion è l’esposizione in mostra fino all’8 dicembre nelle sale capenati, dopo l’inaugurazione al centro Würth della casa madre. Opere d’arte ottica, cinetica e luminescente (optical, kinetic & light art, per dirla all’inglese) che hanno spopolato dagli anni del boom all’oggi, e ancora fanno la loro figura tra le pareti del centro, nonostante l’età dell’industrializzazione sia finita da un pezzo. Ad accogliervi è una chicca, quell’Illuminazione realizzata alla fine degli anni ‘80 da Niki de Sain Phalle in coppia con Jean Tinguely, sintesi del tema in mostra. Poi si scende, a gustarsi nella frescura dell’aria condizionata e nel silenzio quasi mistico Calder e Fontana, Gordillo e Kupka, Soto e Vasarely, per fare qualche nome tra la trentina d’artisti esposti. Un colpo d’occhio dove, più che le Fisicromie di Carlos Cruz-Diez o le Sfere di Francois Morellet, a farla da padrone sono i quadri mobili dell’inglese Patrick Hughes. Porte galleggianti, caseggiati e negozi del tè che mutano allo spostarsi del punto d’osservazione, tele dove si percepisce il tributo a De Chirico e Magritte e l’opera si trasfigura sotto il mutare dello sguardo, vi segue come i cristi di certe icone kitsch. Ma è il complesso delle opere a garantire emozioni ottiche in un impasto di luci e colori. Attività collaterali, eventi e laboratori didattici completano l’offerta del centro (info e prenotazione, d’obbligo dati i tempi, su www.artforumwuerth.it).

Tempio o cattedrale laica dell’arte, a due passi c’è un tempio vero, quel che ne resta. Quello della dea Feronia, centro federale delle popolazioni falisca, romana e sabina che ai piedi del Soratte celebravano la rinascita della natura e la liberazione degli schiavi. Un polo cultuale e culturale frequentato da ben altre genti oltre quelle limitrofe, finché la cupidigia di Annibale e la ferocia di Silla ne cancellarono ogni traccia, riemerso con la villa dei Volusii alla fine degli anni ‘50, grazie ai lavori al casello fianese dell’Autosole. Che c’azzecca, avrebbe detto un certo Di Pietro? Benché l’Art forum sia a un tiro di schioppo da Roma e attivo da un quindicennio, la sua fruizione da parte delle comunità e delle scuole locali è tutta da sviluppare. Chissà che lo staff delle curatrici, coordinato da Valentina Spagnuolo, che per uno strano caso provengono dalle stesse antiche etnie del vicino Lucus Feroniae, non riescano nell’intento di dare vita a un tempio, unitamente all’altro, in uso alle realtà del posto oltre che fruito dal pubblico capitolino. Unire arte antica e contemporanea per liberare energie culturali come un tempo si liberavano gli schiavi dalle catene.

Sopra: Patrick Hughes, L’arte è infinita, 2004


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